Inchiesta Blu Notte: le nuove gerarchie dei Bellocco, dal controllo remoto del clan alla pace tra i “cristiani”

Reggio Calabria Cronaca

Per quasi mezzo secolo la leadership della cosca Bellocco di Rosarno era stata riconosciuta al vecchio patriarca Bellocco Umberto, classe ‘37, meglio noto come «Assi I Mazzi», morto il 22 ottobre scorso, ed al quale viene ricondotta anche la nascita della Sacra Corona Unita pugliese, fatta risalire alla notte di Natale del 1981 all’interno del carcere di Bari.

Delle intercettazioni captate dai Carabinieri registreranno però e poi il “passaggio di mano” all’omonimo nipote del boss, Umberto Bellocco (classe ’83) alias Chiacchera”, figlio di Giuseppe, classe ‘48, che secondo gli inquirenti “avrebbe dimostrato di avere la completa gestione del gruppo e il conseguente controllo di tutti i consociati”.

Umberto, fratello di Domenico (classe ’77) detto anche «Mico u Lungu», “avrebbe dato prova di essere un leader temuto: le persone ammesse a confrontarsi con lui avrebbero esternato sempre atteggiamenti ossequiosi ed accondiscendenti, dimostrando il loro assoggettamento”, scrivono gli investigatori.

E sarebbe ancora lui che, in continuità con il pensiero del suo predecessore - come emergerebbe dall’indagine Sant’Anna, che risale al 2014 (QUI) – avrebbe dato prova di essere determinato a far diventare la sua associazione dominante rispetto alle altre.

Avrebbe messo in evidenza proprio questo cambio ai vertici del clan l’operazione “Blu Notte” (QUI), che stamani ha portato all’arresto non solo nel reggino ma anche in altre 15 province italiane, di ben 78 persone, oltre ad altre due sottoposte ad altrettanti obblighi di dimora, accusate a vario titolo e tra l’altro proprio di associazione mafiosa (QUI)-

IL QUADRO COMPLETO

L’indagine, eseguita dai militari, avrebbe difatti restituito quello che viene considerato come un quadro completo” sugli elementi strutturali della cosca Bellocco, che costituiscono anche la spina dorsale della “Società di ‘ndrangheta di Rosarno”, le cui relazioni hanno dimostrato l’operatività delle locali attive a Giffone e Laureana di Borrello, sempre nel reggino.

Gli inquirenti sostengono di aver operato una precisa ricostruzione delle cariche e dei conseguenti compiti affidati ai numerosi affiliati che hanno spaziato dalle estorsioni al traffico degli stupefacenti, dalla gestione delle cosiddette guardianie alla spartizione degli interessi sul territorio, e così via.

Ruoli che hanno contemplato l’uso delle armi ed “una particolare disinvoltura” nell’eseguire danneggiamenti verso quanti si fossero dimostrati riluttanti a sottomettersi alle imposizioni dell’organizzazione.

“L’ascesa del nuovo vertice della cosca – scrivono poi gli investigatori - continua anche nell’ambito carcerario, circuito nel quale vengono rilevate – con il fondamentale contributo del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria – la posizione di primazia del Bellocco tra i ristretti del carcere di Lanciano (in provincia di Chieti, ndr.), intessendo alleanze trasversali con altre potenti organizzazioni criminali operanti su tutto il territorio nazionale”.

I SUMMIT DAL CARCERE

L’ipotesi è che nonostante si trovasse dietro le sbarre, Umberto Bellocco avrebbe comunque partecipato attivamente alle dinamiche criminali che hanno riguardato il gruppo, grazie anche alla disponibilità in carcere di telefoni cellulari, il cui approvvigionamento sarebbe stato favorito dal supporto di altri detenuti e dai familiari di questi, per lo più semiliberi o ammessi ai colloqui.

Con questi espedienti il detenuto, dal carcere abruzzese, avrebbe potuto partecipare ai summit mafiosi,potendo espletare tutte quelle funzioni che gli sono state riconosciute in ragione del ruolo di capocosca”, affermano ancora i miliari.

In questo modo le conversazioni con i soggetti ammessi a confrontarsi con il boss sarebbero state utilizzate come strumento di persuasione, anche nei confronti di altri soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta.

Gli approfondimenti investigativi avrebbero fatto emergere, tra le altre cose, anche le presunte responsabilità dei pregiudicati che hanno costituito la filiera necessaria a rifornire Bellocco dei cellulari, delle Sim-card e delle relative ricariche, strumenti indispensabili per la direzione “da remoto” della cosca.

L’INGRESSO NELL’ONORATA SOCIETÀ

Durante le indagini, poi, è stata documentata l’affiliazione di due nuovi consociati ed i conseguenti festeggiamenti, nonostante alcune frizioni che avrebbero minato gli equilibri interni, per l’ingresso nell’«onorata società» dei nuovi arrivati”.

In questo senso, gli inquirenti raccontano il singolare caso del brindisi con il quale un anziano della consorteria, davanti ai nuovi adepti ed agli alti ranghi della cosca, abbia voluto esaltare quel momento di vita associativa pronunciando la frase: «E' cadda… è fridda… e cala comu nenti, a saluti nostra e di novi componenti.

Affiliazioni che sarebbero state effettuate con l’avallo di un altro esponente di vertice recluso nel carcere di Saluzzo (CN), il cui benestare sarebbe stato concesso attraverso sempre via telefono, e di uno degli esponenti della cosca Bellocco riconducibile al ramo dei «Testazza».

“Il tutto nell’ottica di partecipare il concetto unitario di cosca, che implicitamente ha amplificato la forza di intimidazione, creando le condizioni di assoggettamento delle popolazioni e ponendo le basi per stabilire quel rapporto di sudditanza psicologica posto a fondamenta delle imposizioni mafiose”, affermano ancora gli inquirenti.

L’ALLEANZA CON GLI SPADA

Tra le alleanze maturate nel circuito penitenziario spicca la stretta collaborazione tra gli esponenti dei Bellocco e quelli del clan Spada di Ostia (Roma), alcuni dei quali raggiunti anch’essi, oggi, dalle misure cautelari.

In particolare, l’accordo stretto tra gli esponenti dei due clan, oltre a scandire le gerarchie criminali all’interno del penitenziario, avrebbe riguardato i traffici di cocaina effettuati dalla Calabria verso il litorale romano e la risoluzione di situazioni conflittuali tra gli Spada e alcuni calabresi titolari di attività commerciali nelle aree urbane di Ostia ed Anzio.

LO SFRUTTAMENTO BOSCHIVO

Un Altro settore che gli investigatori identificano come di importanza strategica è quello della spartizione dei proventi relativi allo sfruttamento delle risorse boschive.

Viene riportata a questo proposito, una citazione emersa dall’attività d’indagine, che dimostrerebbe come i contratti per lo sfruttamento delle risorse montane venissero stabiliti nella sede operativa dei Bellocco: “I contratti delle montagne o si fanno in questa casa o se li fanno a Laureana, siccome io sono delegato pure da quell'altri si fanno in questa casa”.

In quest’ambito è stato possibile attribuire la “competenza mafiosa” sulle aree montane ricomprese tra il comune di Laureana di Borrello e quello di Giffone, e le relative prerogative di esclusivo appannaggio dei Bellocco e dei Lamari, attuate in forza degli accordi stabiliti circa venti anni prima dagli storici esponenti Giuseppe Bellocco (classe ’48) e Carmelo Lamari.

L’ECCIDIO EVITATO PER TELEFONO

“Delle imposizioni criminali durate anni ma che via via sono diventate sempre meno tollerate degli esponenti della locale di Giffone” affermano ancora gli investigatori.

Le rivendicazioni di questi sarebbero iniziate nel periodo in cui erano stati contemporaneamente latitanti i due boss e la questione mafiosa afferente alla gestione delle montagne era stata demandata, in funzione supplente, ad esponente di spicco della mafia, oggi finito in arresto.

Gli strascichi della controversia sulla spartizione avrebbero comportato dei fortissimi momenti di tensione, tanto che durante un summit svoltosi all’interno di un’azienda agricola di Rosarno, la situazione sembrava destinata a degenerare nello scontro armato.

Un potenziale eccidio che sarebbe stato scongiurato dall’intervento effettuato, in diretta dal carcere, dal giovane Umberto Bellocco, che sarebbe stato solito predicare l’unità tra le diverse anime della ndrangheta e la pace per tutti i consociati, che di solito definiva «cristiani».

I MATRIMONI TRA COSCHE

La strategia dei Bellocco rispetto alle altre consorteriescrivono gli investigatori - restituisce un quadro di sostanziale cooperazione criminale, in un regime di reciproci vantaggi. Infatti con l’incremento esponenziale dei traffici degli stupefacenti le articolazioni localmente attive della ‘ndrangheta non hanno avuto più l’esigenza di contendersi la spartizione del territorio ma, anzi, hanno sfruttato la federazione con le altre associazioni per dividere i rischi d’impresa e ridurre gli sforzi economici per l’attuazione delle iniziative criminali”.

Secondo gli inquirenti, dunque, i Bellocco, oltre a condurre una politica criminale attenta, specie nei confronti delle altre consorterie a loro storicamente alleate, avrebbero creato le condizioni per realizzare una serie di matrimoni tra i propri esponenti e quelli della cosca Pesce, in modo da rafforzare i rapporti relazionali tra le due espressioni di criminalità organizzata ritenute tra le più influenti del mandamento tirrenico della Provincia di Reggio Calabria.

Ragione per la quale, in alcune fasi dell’indagine, gli esponenti dei Bellocco hanno apertamente manifestato la concreta possibilità di ottenere il sostegno anche dei vertici dei Pesce, dando prova di essere supportati, oltre che da questi ultimi, anche da altre realtà di pari livello criminale della Piana di Gioia Tauro.

I SUMMIT A CASA DELLA SORELLA

Moltissimi sono i summit di mafia censiti, e che generalmente avvenivano all’interno dell’abitazione della sorella di Umberto Bellocco e quelli, ben più complessi, organizzati nelle aziende agrumicole di Rosarno, dove venivano regolate le controversie con gli altri esponenti della ‘ndrangheta e dove gli incontri venivano pianificati nel dettaglio, tanto che ad alcuni soggetti armati della cosca veniva dato il compito di appostarsi e occuparsi di determinati settori di tiro, con l’intento di prevenire e reprimere ogni sorta di pericolo che potesse arrivare dalla controparte.

Ai summit era solito prendere parte, in diretta, anche il boss detenuto dal carcere, che con la propria presenza, “partecipata” a distanza, era naturalmente portato ad irretire le iniziative dei convenuti.

LA SOPRAFFAZIONE DEL TERRITORIO

Inoltre, le indagini avrebbero appurato un ricorso all’intimidazione ed alla sopraffazione, con l’invasione pervasiva delle attività economiche e produttive, effettuati in maniera costante: un elemento che continua ad incidere sulle potenzialità di sviluppo del territorio.

Gli esponenti del clan “hanno attuato un’opprimente pressione sulle attività economiche della zona, con richieste estorsive verso i titolari di molte attività economiche” spiegano i militari.

Imposizioni che perduravano da anni e che erano solite aumentare in corrispondenza delle trasferte per i colloqui con i detenuti, dando di nuovo corso alla più ampia gestione della dinamica mafiosa della «guardiania», esclusivamente nell’intento di far sentire la presenza degli esponenti mafiosi nella zona.

IL CONTROLLO DELLE CAMPAGNE

Un controllo diffuso delle campagne, attuato attraverso persone incaricate di «farsi vedere», esigendo pagamenti che variavano in base all’estensione del fondo posseduto e ai quali dovevano sottostare tutti, anche se formalmente affiliati alla ‘ndrangheta.

In caso di furti e danneggiamenti attuati nei confronti di soggetti più riluttanti ad assecondare queste pretese, ai proprietari dei fondi era imposto di rivolgersi ai rappresentanti della cosca: in sintesi, un tentativo di agire in surroga agli organi dello Stato.

Inoltre, i vertici della famiglia sarebbero riusciti a stabilire dei rapporti con alcuni imprenditori che ricercavano la loro copertura, stabilendo un regime falsato dove, alle corresponsioni economiche, conseguiva la possibilità di operare in ambiti di concorrenza alterata.

Le investigazioni, avrebbero permesso oltre tutto di riscontrare anche forti pressioni ad un medico da parte di un esponente della consorteria, al per ottenere delle certificazioni che attestavano delle false patologie, utilizzate poi per ottenere permessi medici rispetto alla sottoposizione agli arresti domiciliari, ed effettuare, grazie all’ottenimento del beneficio, incontri con altri esponenti mafiosi o compiere reati, oltre che per costituire degli alibi spendibili all’occorrenza.

IL CONTRASTO CON GLI SCISSIONISTI

L’inchiesta ha anche evidenziato la persistenza di una corrente interna alla cosca Bellocco, in contrasto con i vertici, solitamente indicata con il termine denigratorio degli «scissionisti».

Le intemperanze di questa fazione sarebbero state represse dagli interventi risoluti di Umberto Bellocco, “nell’ambito di quelle che potremmo definire le regole organizzative e precettive in cui si sostanziava l’affectio societatis”.

LA CASSA COMUNE

Inoltre, per come accertato, i proventi dei delitti sarebbero finiti nella «cassa comune» della cosca, custodita da una donna appartenente al gruppo, la cui gestione è stata organizzata in maniera oculata, sia per il sostentamento dei consociati reclusi che per l’attuazione del programma criminale.

Consistente e diversificata è risultata anche la disponibilità di armi che venivano solitamente distribuite ai consociati in base alle contingenze. In diverse circostanze gli appartenenti alla cosca hanno sottolineato che, in caso di necessità, non avrebbero esitato ad usarle per uccidere.

GLI ARRESTATI

Sono così fini in carcere: Rosario Arcuri, Salvatore Ardizzone, Antonio Barrese, Domenico Bellocco (classe ’76), Domenico Bellocco (classe ’80), Domenico Bellocco (classe ’87), Emanuela Bellocco, Francesco Antonio Bellocc, Michelangelo Bellocco, Michele Bellocco (classe 80), Pietro Giuseppe Bellocco, Rocco Bellocco (classe ’52), Rocco Bellocco (classe ’89), Umberto Bellocco (classe ’83), Antonino Biondo.

Inoltre, Giuseppe Bonarrigo, Rosario Caminiti, Giuseppe Campisi, Enrico Condoleo, Giovanni Cutuli, Giuseppe Fazzari, Francesco Fiumara, Pasquale Furuli, Williams Gregorio, Massimo Lamari, Francesco Larosa, Massimo Larosa, Vincenzo Lombardo, Antonio Mandaglio, Francesco Mandaglio, Alessandro Marando, Domenico Antonio Napoli, Francesco Nucera.

Ed infine, Giovanni Nocera, Maria Serafina Nocera, Antonio Paladino, Francesco Benito Palaia, Giovanni Palaia, Gaetano Palaia (classe ’74), Gaetano Palaia (classe ’96), Vincenzo Palaia, Pasquale Pronestì, Antonio Restuccia, Rocco Restuccia, Giuseppe Scarcella, Giovanni Sesini e Rocco Stilo.