La mafia agrigentina ed i rapporti con la cosca calabrese: blitz in Sicilia, nove arresti

Reggio Calabria Cronaca

La famiglia della cosiddetta “stidda” agrigentina, legata a Cosa Nostra, influenzava anche il lucroso settore delle transazioni per la vendita di uva: un ambito nel quale emergono anche rapporti del vertice della gruppo siciliano con una ‘ndrina calabrese, quella dei Barbari di Platì.

Il dato è emerso nel corso dell’indagine “Condor” che stamani ha portato all’arresto di nove persone – cinque finite in carcere e quattro ai domiciliari – oltre ad un obbligo di dimora, accusate appunto e a vario titolo di associazione mafiosa, ma anche di estorsione e traffico di stupefacenti.

Il blitz è scattato ad Agrigento, Palermo, Trapani, Enna e Caltanissetta e nello stesso contesto sono state eseguite oltre una ventina di perquisizioni personali e locali (di cui tre in carcere) nei confronti sia dei destinatari dei provvedimenti che di altri soggetti indagati nello stesso procedimento.

L’operazione arriva al termine delle indagini condotte dai militari del Nucleo Investigativo di Agrigento, anche con riferimento ad un’altra inchiesta, denominata “Xidy”, condotta dal Ros nel febbraio del 2021.

Le indagini, coordinate dalla Dda di Palermo, fanno ritenere dunque di aver definito gli agli assetti mafiosi a Favara e a Palma di Montechiaro, quest’ultima caratterizzata - come accertato da sentenze definitive - dalla convivenza della articolazione territoriale di cosa nostra e di formazioni criminali denominate paracchi sul modello della stidda.

In questo contesto sono stati raccolti indizi relativi al tentativo di uno degli indagati di espandere la propria influenza al di là del territorio palmese, e segnatamente a Favara ed al Villaggio Mosè di Agrigento.

Definito anche il presunto ruolo di “garante” esercitato dal vertice della famiglia di Palma di Montechiaro a favore di un esponente della stidda, al cospetto dell’allora reggente del mandamento di Canicattì.

Secondo gli inquirenti, dunque, il gruppo criminale avrebbe avuto il controllo delle attività economiche a Palma di Montechiaro per quanto riguarda il settore degli apparecchi da gioco e delle mediazioni per la vendita dell’uva (la cosiddetta sensalie); e di quelle di Favara con l’imposizione delle cosiddette messe a posto ad imprenditori sul territorio, anche con l’uso di danneggiamenti tramite incendio.

È stata poi ipotizzata l’operatività di una struttura parallela, con base a Palma di Montechiaro, diretta da soggetti che si ritiene facciano parte della stidda, e che gestiva il traffico e lo spaccio di droga.