Era il raccordo tra i Grande Aracri e la politica, confisca definitiva per i beni di Antonio Muto
Ammonta a circa otto milioni e mezzo di euro il valore dei beni che stamani la Dia di Bologna ha confiscato definitivamente ad Antonio Muto, 68enne ritenuto un esponente di rilievo della ‘ndrangheta attiva a Reggio Emilia, Parma, Modena e Piacenza, e storicamente legata alla omonima cosca di Cutro, nel crotonese, che fa capo Nicolino Grande Aracri.
Muto, classe 1955, il 7 maggio scorso è stato condannato in via definitiva a 10 anni e 8 mesi nell’ambito della nota operazione Aemilia (QUI) per l’accusa di associazione mafiosa (il 416 bis) ed è attualmente detenuto.
Viene considerato dagli inquirenti come un “partecipe molto attivo” della ‘ndrangheta emiliana, “osservante delle gerarchie e regole dettate dai capi, fedele alle direttive ricevute condivise ed attuate”, ed è ritenuto il raccordo tra la cosca ed esponenti delle Istituzioni locali consentendo in tal modo che il clan – “di chiara matrice imprenditoriale” - si rafforzi e si espanda.
Gli accertamenti svolti dalla Divisione investigativa antimafia hanno portato ad individuare un complesso di elementi patrimoniali di cui l’uomo ha avuto la disponibilità facendo ritenere che il loro valore sia sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati e all’attività economica svolta dal 68enne
La ordinanza di confisca ha così interessato cinquanta immobili tra cui una villetta di pregio a Reggio Emilia; capannoni industriali; terreni, una società immobiliare, un automezzo e dodici rapporti bancari.
L’intero patrimonio, passato definitivamente nelle mani dello Stato, sarà amministrato dall’Agenzia Nazionale del Beni Sequestrati e Confiscati.