‘Ndrangheta. Omicidio Bruzzese, chiesto l’ergastolo per presunti killer
Per la Procura di Ancona non ci sarebbero dubbi: Francesco Candiloro, 43enne originario di Polistena, nel reggino, e Michelangelo Tripodi, 44enne Vibo Valentia, sarebbero i killer di Marcello Bruzzese (QUI) e per questo, nell’ambito del processo abbreviato a loro carico, ne è stato chiesto l’ergastolo.
Secondo l’accusa i due sarebbero gli autori materiali dell’omicidio, avvenuto in via Bovio a Pesaro nella sera di Natale del 2018 (QUI), quando la vittima fu falcidiata da una pioggia di proiettili, un intero caricatore esploso con pistole calibro 9.
Nel corso dell’udienza, tenutasi ieri, i pm hanno parlato di una serie di prove sulle presunte responsabilità degli imputati, che sarebbero stati scelti per compiere l’agguato perché insospettabili e lontani dalla criminalità.
Per arrivare a loro, i carabinieri del Ros partirono dal ritrovamento nel covo del latitante Giuseppe Crea (56enne di Rizziconi) di un telefono olandese, che non era possibile intercettare poiché criptato, ma utilizzato stabilmente dal ricercato.
Analizzando l’apparecchio e le relative chiamate ricevute si accorgono che qualcuno avesse fatto un errore inserendo la sim straniera nel proprio telefonino: cellulare che da una verifica il 25 dicembre del 2018 è risultato essere proprio a Pesaro e nella zona dell’omicidio di Bruzzese. Si arriva così ad altre due utenze olandesi che si trovano a Pesaro in quei giorni e che risultarono in possesso dei due calabresi.
Gli investigatori, così, riuscirono a ricostruire le varie fasi dell’assassinio scoprendo che gli indiziati, nei giorni precedenti, avessero effettuato dei minuziosi e ripetuti sopralluoghi per studiare le abitudini della vittima. Sopralluoghi che avrebbero interessato anche i fratelli di Bruzzese, che vivono in altre località protette.
Alla base del delitto, sempre secondo l’ipotesi accusatoria, una vendetta contro il collaboratore che con le sue “cantate” avrebbe portato addirittura a ribaltare una sentenza, in Appello, nel dicembre del 2020, facendo condannare capi e affiliati alla ‘ndrangheta.