Tonnellate di rifiuti sversate nel fiume: cinque indagati, sequestrata azienda edile

Reggio Calabria Cronaca

Cinque persone tra i 35 e i 65 anni, tra titolari e dipendenti di un’azienda specializzata in attività di demolizione e movimento terra, sono state raggiunte stamani da una misura cautelare personale e reale eseguita dai carabinieri di Reggio Calabria, essendo ritenuti responsabili della sversamento di oltre 5 mila tonnellate di rifiuti speciali nell’alveo del fiume Valanidi, un bene demaniale che è sottoposto alla tutela paesaggistica.

Con precedenti in materia ambientale ed associazione mafiosa, a tutti si contesta infatti di far parete di una associazione finalizzata al traffico illecito di rifiuti, ma anche le ipotesi di reato di disastro e inquinamento ambientale, di attività di gestione di rifiuti non autorizzata e di occupazione abusiva di suolo pubblico.

Uno di loro è stato arrestato ed è finito ai domiciliari, si tratta di Bruno Crucitti (di 65 anni) titolare dell’impresa Crucitti Group srl indicato dal Gip come il “capo, direttore organizzativo ed esecutore materiale” della presunta associazione; gli altri indagati sono invece i suoi due figli, Francesco e Daniele Crucitti, di 39 e 36 anni, rispettivamente amministratore unico e socio dell’impresa, ed Edoardo Belfiore (di 56 anni) e Giovanni Salvatore Vittoriano (di 59), entrambi dipendenti con mansioni di autisti.

L’operazione arriva al termine di una indagine scattata nel gennaio dell’anno scorso e conclusasi nell’aprile successivo, condotta dalla Stazione dei carabinieri di Rosario Valanidi e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia reggina (diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri), che avrebbe consentito di interrompere una serie di reati considerati tra i più pericolosi per l’ambiente e l’incolumità pubblica.

Gli accertamenti sono iniziati a seguito di alcuni sopralluoghi durante i quali si è riscontrato il presunto sfruttamento del torrente Valanidi da parte della società edile.

AGIVANO IN PIENO GIORNO

In particolare, e secondo gli inquirenti, sarebbe esistito un vero e proprio gruppo criminale che avrebbe commesso reati ambientali definiti dai militari di “inaudita gravità” e che sarebbero stati connotati “da danni di irreparabile pregiudizio per l’equilibrio ambientale del sito in questione”, cosa che sottolineerebbe una “spiccata pericolosità degli indagati”, la cui spregiudicatezza emergerebbe dal fatto che agissero sempre in pieno giorno, in piena mattinata.

Gli investigatori sostengono quindi che la società, senza avere concessioni e autorizzazioni, ricevesse e trasportasse abusivamente all’interno del proprio cantiere ingenti quantitativi di inerti provenienti da attività edili di terzi, eludendo la tracciabilità dell’origine, natura e destinazione degli stessi.

Si sarebbe accertato, soprattutto, che il traffico avvenisse utilizzando anche delle attestazioni false, tramite le quali i mezzi pesanti aziendali, con diverse operazioni di scarico (all’incirca un centinaio al mese), sversassero, con l’utilizzo di mezzi pesanti, “reiteratamente e spregiudicatamente”, nel del greto del torrente Valanidi grosse quantità di rifiuti speciali: materiale inerte e relativi residui fangosi, scarti da cantieri edili e demolizione.

IL PERICOLO DI ESONDAZIONE

I carabinieri hanno scoperto numerose discariche a cielo aperto realizzate nell’alveo del fiume per circa un chilometro, al cui interno si stima siano stati smaltiti oltre cinquemila tonnellate di rifiuti. Inoltre, tramite i suoi escavatori, la ditta avrebbe prelevato del pietrisco - che costituisce la base naturale del torrente – per poi reimpiegarlo nelle lavorazioni di settore.

Per gli inquirenti il torrente Valanidi, certificato anche come corridoio ecologico tra due habitat naturali protetti, avrebbe subito un disastro ambientale a causa di queste forme di smaltimento, che ne avrebbero alterati la normale conformazione.

Si sarebbero difatti e così create delle insidiose barriere artificiali originate dalla stratificazione e dalla compattazione dei materiali smaltiti, pregiudicando il naturale decorso delle acque.

I militari affermano che questo accumulo sarebbe stato “un importante … amplificatore del pericolo esondazione” in una zona già classificata a rischio sotto il profilo dell’assetto idrogeologico, con ipotizzabili effetti devastanti per le 83 famiglie che risiedono nelle vicinanze.

La stessa zona, il 22 ottobre del 1953, fu infatti colpita dall’esondazione del torrente, provocando la morte di 44 persone tra la popolazione locale.

Una specifica perizia tecnica ha certificato la compromissione della morfologia naturale del sito a causa delle operazioni di scarico che, secondo i tecnici, avrebbero aumentato la possibilità di esondazione in caso di piogge estreme, e l’aumento del rischio igienico sanitario, oltre alla deturpazione dell’area e ai danni agli habitat fluviali.

Nell’ambito della stessa attività investigativa è stato sequestrato anche l’intero patrimonio aziendale, comprensivo di conti correnti e quote sociali, autocarri, mezzi d’opera ed autovetture di lusso.

Dagli approfondimenti investigativi, poi, è emerso che gli indagati, in relazione alla stessa attività lavorativa, in passato fossero già incorsi in provvedimenti antimafia che portarono alla confisca di una precedente società che operava nello stesso settore e considerata riconducibile alle cosche di ‘ndrangheta locali (QUI).