Il culto di Apollo e Dioniso nella Scuola Pitagorica: sesta lezione del Gak a Crotone
Giovedì prossimo, 22 febbraio, alle 18, nel Museo e Giardini di Pitagora di Crotone, in collaborazione con il consorzio Jobel, si terrà la sesta lezione del Corso di Archeologia e Storia del Gak su “Il culto di Apollo e Dioniso nella Scuola Pitagorica”, e con relatore Giovanni Maria Arone.
Apollo e Dioniso, due fratelli, due delle maggiori divinità dell’Olimpo greco tra i simboli della più alta e complessa spiritualità antica. Comprendere questi due numi non è cosa semplice, in quanto è impossibile penetrarne i misteriosi veli solo con la ragione o con la mera erudizione.
Apollo, dio della luce, della musica e della poesia, fondatore di città, purificatore ed al contempo portatore di pestilenze, guaritore scortato dalle sacre Muse è anche colui che accoglie i pellegrini del santuario di Delfi non con le consuete formule di benvenuto, ma con le seguenti esortazioni: «conosci te stesso» o «la misura sta al di sopra di ogni cosa».
Apollo, noto anche come l’Obliquo, comunica il sacro volere di Zeus con parole misteriose per bocca della Pizia posseduta dal dio, ispira sacerdoti purificatori e mistici iatromanti come Epimenide, Aristea, Abaris, Pitagora o Empedocle e, una volta l’anno, lascia il suo sacro santuario per recarsi presso gli Iperborei, cedendo il posto a suo fratello Dioniso.
Quest’ultimo, dio del vino, dell’ebrezza e degli stati di coscienza sublimati, è una divinità notturna che dal Citerone scende a valle con le sue sacerdotesse Baccanti, per presiedere ai misteri, ai sacrifici cruenti e alle rappresentazioni teatrali celebrate in suo onore.
Dioniso e Apollo, entrambi residenti nello stesso luogo, il santuario di Delfi ai piedi del monte Parnaso, sebbene in apparenza diversi sono intimamente legati nell’unico percorso iniziatico che il “Mystes” deve percorrere affinché possa morire e rinascere dio come Dioniso Zagreo fatto a pezzi dai Titani, rinato immortale per volere di Zeus e dal quale razza umana discende.
Cosa hanno a che fare dunque queste due divinità con le confraternite orfiche e con gli emicicli pitagorici? Nel tentativo di trovare una risposta a tale quesito, si cercherà di affrontare uno studio delle divinità olimpiche prima della rivoluzione orfica, ovvero l’Olimpo della religione omerica in cui l’uomo era solo un misero mortale non partecipe della gloria immortale degli dei, all’avvento dell’orfismo, della sua propagazione in tutta la Magna Graecia attraverso la Scuola pitagorica di Crotone, dove l’uomo, non più semplice spettatore del suo destino, diviene egli stesso dio tra gli dèi, (micro)cosmo nel (macro)cosmo.
L’uomo è, quindi, inteso nella sua più alta vocazione di anima viaggiante, anima immortale, soggetta al ciclo delle reincarnazioni e, al contempo, anima assetata di conoscenza, che si abbevera alla fresca acqua della sacra sorgente di Mnemosyne, dea della memoria, così come riportato nella misteriosa lamina d’oro di Petelia: «Sono figlia di Gea e di Urano stellato, e la mia stirpe è celeste: lo sapete anche voi. Sono riarsa di sete e muoio: ma datemi sùbito fresca acqua che scorre dallo stagno di Mnemosyne».