1976: quando l’archeologia si è fermata. Crotone tra esigenze abitative e valore storico
Domani, giovedì 7 marzo, presso il Museo e Giardini di Pitagora, in collaborazione col Consorzio di cooperative Jobel, si terrà l’ottava lezione del Corso di Archeologia e Storia del Gak 2024. Tommaso Tedesco relazionerà su “Crotone 1976: l'archeologia si è fermata”.
Il 21 febbraio 1976 il Soprintendente alle Antichità della Calabria, Giuseppe Foti, comunica alle cooperative edilizie del primo comprensorio PEEP il nulla osta alla costruzione degli edifici, non ritenendo degni di conservazione i resti archeologici rinvenuti nei saggi eseguiti a partire dal 1974 nel quartiere centrale dell’antica città di Kroton.
Vi sono state forti pressioni sul Ministero e sulla stessa Soprintendenza: si arriva a minacciare persino lo sciopero generale della città affinché prendesse il via il piano di edilizia economica e popolare (all’epoca il primo e più grande dell’Italia meridionale) necessario per affrontare l’esigenza abitativa degli operai delle fabbriche.
Nello stesso anno, nella parte Nord di Crotone, la Soprintendenza rileva la presenza di un altro vasto lembo della città greca, frequentato dalla fine dell'VIII alla fine del IV secolo a.C., mediante i saggi sul tracciato per la costruzione dell’acquedotto e gli accertamenti affidati a marzo del 1976 dalla Montedison alla Fondazione Lerici, iniziati tra l’estate e l’autunno dello stesso anno.
A dicembre del 1976 Lorenzo Quilici, docente di topografia antica all’Università La Sapienza di Roma, viene incaricato dal Consorzio industriale di Crotone di valutare la portata dei rinvenimenti. Quilici non esita ad affermare il significato della scoperta di “un eccezionale valore storico ed archeologico” in “quanto proprio nella forma della città vista nel suo assetto globale”, se ne sancisce l’incompatibilità non solo con il piano di destinazione industriale previsto ma anche con le fabbriche esistenti.
Affronta anche le prospettive urbanistiche, affermando che Crotone si trovava di fronte ad una svolta precisa: “non potrà mai divenire una vera grande città se dovrà piangere un giorno di aver sacrificato il suo patrimonio monumentale e con esso anche una qualifica ed un ruolo culturale che solo le può derivare dal rispetto della sua storia”.
La testimonianza di Quilici non viene recepita dalla città ma rimane relegata ad un articolo dei notiziari dell’associazione Italia Nostra.
Quello che avvenne dopo lo conosciamo: nel 1978 viene apposto il vincolo; nel 1993 l’apparato industriale di Crotone va in crisi; l’anno successivo l’area viene espropriata; nel 2001 la perimetrazione del SIN e il calvario della bonifica.
Anche il quartiere settentrionale della città greca viene per sempre ingabbiato all’interno dell’area industriale dismessa; si giunge perfino a proporne la “bonifica” mediante tombatura.