Caso Lucano, per la Corte d’Appello “nessun arrembaggio a risorse pubbliche”
Mimmo Lucano non avrebbe gestito nessuna associazione volta al favoreggiamento dell'immigrazione, nè avrebbe orchestrato alcun "arrembraggio" alle risorse pubbliche.
Questo quanto scritto dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, che questa mattina ha presentato le attese motivazioni inizialmente attese a gennaio (LEGGI) sul processo Xenia, che già nell'ottobre del 2023 aveva ribaltato la sentenza di condanna a carico dell'ex sindaco di Riace.
L'impianto accusatorio avallato dal Tribunale di Locri - che aveva chiesto, nel 2021, una condanna a 13 anni e 2 mesi - è stato dunque completamente smontato di giudici d'Appello, che riconoscono comunque a Lucano il reato di falso.
Caduti tutti i reati più gravi, come quello che ipotizzava l'ex sindaco a capo di un'associazione a delinquere finalizzata alla gestione illecita dei fondi per l'immigrazione. Al contempo era accusato anche di truffa aggravata, abuso d'ufficio e peculato.
L'AMPIA ISTRUTTORIA
"L'ampia istruttoria non ha offerto elementi per ritenere provati nessuno degli elementi che, nella pratica giudiziaria, vengono valorizzati per dimostrare l'esistenza di una struttura associativa" si legge nelle motivazioni, dove si spiega che "i dialoghi intercettati, in linea con gli accertamenti patrimoniali compiuti su Lucano Domenico, suggeriscono di escludere che abbia orchestrato un vero e proprio arrembaggio alle risorse pubbliche".
"L'esistenza di uno stabile accordo di natura delittuosa nemmeno può essere desunta" spiegano i giudici, affermando che "manca la prova degli elementi costitutivi il reato".
Cade il reato falso ideologico, perché tali azioni "non erano funzionali ad ottenere le somme di denaro dal Ministero", ed anche il peculato, perché "non è configurabile per la gestione e destinazione di somme di provenienza pubblica, anche dopo la loro corresponsione, quale corrispettivo del servizio, pattuito a seguito di apposito contratto e prestato".