Gli Arabia dal crotonese alla conquista del reggiano tra estorsioni, furti e frodi
Un vera e proprio gruppo ‘ndranghetista, quello degli Arabia, a capo del quale vi sarebbe Giuseppe (59 anni), fratello di Salvatore Arabia, che molti ricorderanno caduto vittima di un agguato, nel lontano 2003, a Steccato di Cutro: era il tempo di una tremenda faida che all’epoca insanguinò il Crotonese.
L’organizzazione, che affonderebbe i propri artigli nel remunerativo business delle estorsioni senza disdegnare il “settore” delle truffe, così come della ricettazione di beni rubati, per lo più ad aziende di autotrasporto, avrebbe avuto la sua sede “centrale” a Reggio Emilia, ricca città del centro nord, da anni appannaggio degli appetiti dei clan calabresi, soprattutto di quelli dalle solide radici nella provincia pitagorica.
Ad accendere i riflettori, stamani, la Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo reggiano che con l’operazione chiamata in codice “Ten” (QUI), ha fatto spalancare le porte del carcere per cinque persone - accusate di associazione mafiosa - e autorizzato diciannove perquisizioni scattate non solo nella provincia di Reggio Emilia ma anche in quelle di Modena, Parma, Mantova e, appunto, Crotone.
Tra le sbarre sono quindi finiti Giuseppe Arabia (cl. ’66); Giuseppe Arabia (cl. ’89); Nicola Arabia (cl. ’85); Salvatore Messina (cl. ’80); Salvatore Spagnolo (cl. ’91); Giuseppe Migale Ranieri (cl. ’78).
LA DISPONIBILITÀ DI ARMI
Gli agenti della polizia, che hanno condotto le indagini, si dicono quindi certi di poter dimostrare l’esistenza e l’operatività, “nell’alveo della cosca ‘ndranghetistica emiliana”, del gruppo mafioso, un sodalizio che, come viene evidenziato dagli stessi inquirenti, poteva contare anche su un’ampia disponibilità di armi.
Armi che venivano conservate in luoghi nascosti grazie alla complicità degli altri appartenenti: per esempio, in un caso è stato sequestrato un fucile che era stato occultato in un gommone a sua volta contenuto all’interno di un camion, su cui era stato caricato del tutto all’insaputa del trasportatore.
Giuseppe Arabia - già condannato con sentenza passata in giudicato per associazione mafiosa - insieme ai suoi presunti sodali, avrebbe dunque fatto ricorso a metodi tipicamente ‘ndranghetisti, utilizzando cioè la violenza e comunque l’intimidazione sia a scopo ritorsivo e punitivo che per imporre la propria volontà, facendo evidentemente leva sulla forza dell’appartenenza alla criminalità organizzata calabrese.
IL GIRO DI FATTURE FALSE
Ulteriori approfondimenti, svolti con l’ausilio della Guardia di Finanza di Reggio Emilia, poi, hanno portato a ricostruire numerose frodi fiscali, facendo ritenere che il gruppo si fosse anche specializzato nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Un meccanismo che avrebbe portato ad emettere fatture per oltre un milione e ottocentomila euro nei confronti, in particolare, di dodici principali società utilizzatrici, e che avrebbe fruttato in pochi anni al sodalizio un guadagno di più di trecento mila euro, somma oggi messa sotto sequestro.
Contestualmente sono state perquisite anche le sedi di sei società, che, sulla base dei riscontri investigativi eseguiti, risulterebbero coinvolte nel presunto sistema di frode.
L’OPERAZIONE
IL BLITZ è stato condotto dalla Squadra Mobile di Reggio Emilia col supporto del Servizio Centrale Operativo e della Mobile di Bologna e Crotone, insieme alla Guardia di Finanza reggiana. I provvedimenti restrittivi sono stati emessi dal gip presso il Tribunale di Bologna, Alberto Ziroldi, su richiesta della Procura della Dda locale, sulla base degli esiti di una lunga e complessa indagine coordinata dal sostituto procuratore Beatrice Ronchi.