Federfarma Catanzaro. Domande e risposte
Riceviamo e pubblichiamo nota stampa di Vincenzo Defilippo presidente Federfarma Catanzaro
Il dibattito, articolato in domande e risposte nasce dall’esigenza di rivedere il ruolo della farmacia in funzione delle nuove domande della società e degli attacchi legislativi che, sotto alcuni punti di vista, stanno minando il “sistema farmacia”. Sfatando intanto il mito dei farmacisti, quale casta, preme focalizzare l’attenzione sull’importanza della costituzione di un sistema capillare ed efficiente, in netto contrasto però con ciò che prevedeva il decreto “salva Italia” . Si passano quindi in rassegna i punti più salienti del disegno di legge: dalla deregolamentazione della fascia C presso punti di vendita diversi da quello del canale farmacia, fino agli effettivi termini di risparmio che ciò comporterebbe.
Le farmacie sono accusate di essere una casta, una categoria arroccata a difesa dei propri privilegi e chiusa a ogni rinnovamento. Cosa c’è di vero?
I farmacisti sono stati abituati, fin dagli studi universitari, a considerare le norme che regolano la loro attività un sistema di garanzie a tutela del cittadino. Questo vale per gli orari regolati per legge, per la dislocazione della farmacia, per lo standard minimo di servizio inteso sia per qualità che per quantità di medicinali da assicurare sempre e in ogni condizione al cittadino, per l’obbligo di praticare sul farmaco prezzi uguali su tutto il territorio nazionale Sicuramente oggi i tempi sono cambiati e alcuni vincoli possono forse non essere più attuali. Le persone, ad esempio, sono ormai abituate a ragionare in termini di sconti e non considerano più il prezzo fisso e unico un valore o una garanzia.
Le farmacie, quindi, devono prendere atto di questa novità e adeguarsi.
Quello che non si deve fare, però, è gettare anche il bambino insieme all’acqua sporca. È giusto, cioè, correggere gli aspetti superati della normativa. Ma non bisogna, in nome della liberalizzazione, distruggere un servizio che funziona e che, in particolare nella nostra Regione, spesso sopperisce all’inadeguatezza delle strutture sanitarie, soprattutto nei piccoli centri. Non solo, ma spesso le farmacie si devono accollare anche costi impropri, come quelli derivanti dai ritardi nei pagamenti che nella nostra Regioni sono ormai cronici.
Avete delle proposte per migliorare il servizio?
Il Parlamento, proprio prima che si aprisse questa fase di crisi del Governo, stava esaminando le nostre proposte: un pacchetto di novità, recepite dall’allora Ministro della salute Fazio, che dovrebbero sostituire la norma sulla vendita dei medicinali con ricetta medica nelle parafarmacie e nei supermercati. In estrema sintesi noi proponiamo di rendere più elastici i criteri per l’apertura di nuove farmacie, in modo da aprire in tempi rapidi oltre 2.000 nuove farmacie dove c’è effettiva necessità (periferie dei centri urbani, centri minori non sufficientemente serviti). Queste farmacie inoltre verrebbero assegnate a farmacisti che non oggi non hanno una farmacia o a titolari di piccolissime farmacie rurali che per anni hanno garantito il servizio in condizioni difficili e potrebbero, quindi, migliorare la propria posizione, lasciando il proprio posto a giovani farmacisti. Questo dimostra che non siamo chiusi a difesa delle nostre posizioni, ma siamo convinti che sia necessario un cambiamento. Proponiamo, inoltre, di rendere più flessibili gli orari delle farmacie e di aumentare il numero dei medicinali di uso consolidato e che non presentano rischi di abusi, che possono essere venduti senza ricetta medica, con lo sconto, anche da esercizi diversi dalle farmacie e anche senza la presenza di un farmacista, come avviene in altri paesi europei. In questo modo contiamo di andare incontro alle rivendicazioni delle parafarmacie e dei supermercati che chiedono maggiori spazi di attività perché non sono in grado di sostenere i costi della presenza del farmacista.
Cosa prevedeva l’articolo 32 del decreto-legge 201/2011?
L’articolo 32 nel precedente testo, avrebbe consentito indiscriminatamente la vendita da parte di esercizi commerciali (come supermercati e parafarmacie) dei medicinali con obbligo di ricetta medica a carico dei cittadini (fascia C). Tali esercizi commerciali non avrebbero bisogno di nessuna autorizzazione per la vendita dei farmaci: sarebbe sufficiente una comunicazione al Ministero della salute e alla Regione.
Quali conseguenze avrebbe sul servizio farmaceutico la deregolamentazione della fascia C?
La norma avrebbe avuto due tipi di conseguenze. La prima conseguenza sarebbe un aumento indiscriminato dei punti vendita del farmaco che avrebbe determinato una consistente perdita economica soprattutto per le farmacie più piccole.. Sarebbe avvenuto quello che è successo per i tanti piccoli negozi di alimentari, casalinghi o librerie, che hanno chiuso a seguito dell’apertura di supermercati. La stessa Corte Costituzionale, in una recente sentenza (la n. 27 del 2003), ha sottolineato la peculiarità del settore farmaceutico, dove, qualora fossero applicate le comuni regole, si causerebbe la scomparsa degli esercizi minori e così verrebbe alterata quella che viene comunemente chiamata la rete capillare delle farmacie, rete il cui buon funzionamento è assicurato nel suo complesso dalla normativa vigente. Il risultato sarebbe una perdita di capillarità del sistema che danneggerebbe il cittadino: intere aree del Paese, proprio quelle più disagiate, perderebbero anche il servizio essenziale offerto dalla farmacia, magari dopo aver perso anche l’ufficio postale (a seguito della razionalizzazione avviata da Poste Italiane), la stazione dei carabinieri e la parrocchia, chiusa per mancanza di sacerdoti. È ovvio anche che la possibilità di aprire ovunque e senza alcun vincolo esercizi che vendono medicinali con ricetta medica e che in un prossimo futuro magari chiederebbero di poter consegnare anche medicinali di fascia A (a carico del SSN), renderebbe impossibile e insostenibile per le farmacie continuare a garantire il sistema dei turni notturni e festivi. Il cittadino non avrebbe più la certezza di trovare sempre e ovunque una farmacia aperta.
Chi sostiene la deregolamentazione della vendita dei farmaci con ricetta medica afferma che non è il luogo, la farmacia, a garantire il cittadino, bensì il professionista, il farmacista, e che, quindi, non ci sarebbe alcuna differenza tra la vendita di un farmaco con ricetta in farmacia o altrove. È vero che non esiste alcuna differenza tra farmacia e parafarmacia o corner di un supermercato?
Sicuramente un farmacista è sempre un farmacista, indipendentemente da dove svolge la professione. Però è altrettanto vero che il farmacista che lavora in una struttura commerciale si trova in un situazione del tutto diversa da quella del farmacista di farmacia, soprattutto se inserito in un supermercato. Innanzitutto, il farmacista in farmacia conosce la storia individuale e i problemi di salute del paziente, sa quali farmaci, con e senza ricetta medica, a pagamento o a carico del SSN, assume abitualmente, può evitare la contemporanea assunzione di medicinali che possono interagire tra loro e produrre effetti collaterali pericolosi. È obbligato a detenere una serie di sostanze e di farmaci che servono ad affrontare tutte le situazioni, anche quelle di emergenza. Al di là di questo, la farmacia è cosa ben diversa da un esercizio commerciale. Innanzitutto, la farmacia è sottoposta a una serie di controlli sia preventivi (prima dell’apertura) che periodici (durante lo svolgimento dell’attività) da parte delle ASL, dei NAS, del Ministero della salute, che non sono previsti e non vengono effettuati su parafarmacie e corner dei supermercati. Inoltre, la farmacia è inserita in una rete di informazione e controllo, che collega gli operatori del SSN con le autorità sanitarie nazionali e regionali e che dà le massime garanzie al cittadino sulla qualità e la provenienza dei prodotti venduti, sulle informazioni divulgate ai cittadini, sul servizio assicurato. Infine, è questo è quello che maggiormente dovrebbe preoccupare, quando il farmacista si trova inserito in un esercizio della GDO deve sottostare alle regole che gli vengono imposte, magari da una multinazionale con sede in Francia o in Germania che potrebbe addirittura essere anche produttrice di farmaci. E’ giustificabile attendersi che queste regole risponderebbero solamente ad esigenze commerciali, il che non è certo una prospettiva rassicurante.
Cosa possono vendere oggi gli esercizi commerciali e quali farmaci potrebbero vendere se fosse confermato l’articolo 32, approvato dalla Camera?
Oggi gli esercizi commerciali (circa 1.600 tra supermercati e parafarmacie) possono vendere i medicinali di automedicazione (cioè quelli che non richiedono la ricetta medica e possono essere oggetto di pubblicità) e i medicinali senza obbligo di prescrizione SOP (che non possono essere oggetto di pubblicità). Si tratta di farmaci di uso consolidato, quali analgesici, antifebbrili, farmaci per il raffreddore, la tosse o la stitichezza. Se fosse stato confermato l’articolo 32, gli esercizi commerciali potrebbero vendere anche , pillola del giorno dopo, farmaci cioè che sono sottoposti a limitazioni nella prescrizione, nelle modalità di conservazione (ad esempio, temperature di conservazione differenziate, armadi chiusi a chiave) e di movimentazione (registro di carico e scarico). Molto spesso in fascia C sono stati collocati farmaci equivalenti a quelli posti a carico del SSN solo per il fatto di avere un prezzo più alto e, quindi, di non essere convenienti per lo Stato.
Cosa avviene negli altri Paesi europei?
Alcuni Paesi europei (Danimarca, Irlanda, Norvegia, Gran Bretagna, Olanda e Portogallo) consentono la vendita di alcuni medicinali senza obbligo di ricetta medica in esercizi diversi dalle farmacie, senza la presenza del farmacista. Ciò che nessuno dice, nemmeno i media che tanto in questi giorni parlano di liberalizzazioni mancate nelle farmacie,è che In nessun Paese europeo è consentita la vendita di medicinali con obbligo di ricetta medica in esercizi diversi dalla farmacia. E’ questa una circostanza che colpisce e in qualche modo rattrista, perché fa pensare ad un’informazione superficiale o, addirittura, imparziale, a tutto danno della collettività. Sarebbe opportuno informare tutti che solo in Italia si vuole consentire fuori delle farmacie la vendita dei medicinali soggetti a ricetta, in modo che la gente si potrebbe chiedere il perché ciò non avviene in nessun altro paese europeo.