‘Ndrangheta: torna libera dopo 2 anni figlia boss Bruzzise
Il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria ha disposto le remissione in libertà di Elena Bruzzise, figlia del presunto boss di Barritteri, Giuseppe Bruzzise, accogliendo il ricorso degli avvocati Antonio Managò ed Antonino Napoli. La donna torna libera dopo quasi due anni di carcerazione preventiva. I Pubblici Ministeri della Dda di Reggio Calabria - si legge in una nota - contestano ad Elena Bruzzise il ruolo di partecipe alla cosca omonima. La donna, secondo l'accusa, avrebbe fornito un importante contributo per la vita dell'associazione, recandosi ai colloqui con il padre Giuseppe, aggiornandolo sugli avvenimenti più recenti e ricevendo da questi direttive, da eseguire direttamente o da comunicare a persone fuori dal carcere. Più in generale, sempre secondo gli inquirenti, si sarebbe messa "a completa disposizione degli interessi della cosca", cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo. Dopo l'annullamento con rinvio, da parte della prima sezione della Cassazione, dell'ordinanza che in sede di riesame aveva confermato la massima misura cautelare, il Tribunale della Libertà, accogliendo la tesi degli avvocati Managò e Napoli, ha ritenuto che la condotta della giovane donna non configurasse la partecipazione al reato associativo.
Ciò in quanto, sostengono i giudici, "non può ritenersi sufficiente a configurare la partecipazione ad un'associazione mafiosa la mera conoscenza e trasmissione di informazioni attinenti alla cosca, da parte del congiunto di un boss detenuto in visita allo stesso, col relativo corredo di commenti e valutazioni, non accompagnata da alcuna indicazione circa la disponibilità dello stesso congiunto ad apportare un concreto contributo, anche minimo, alla vita dell'associazione per assicurarne continuità e operatività all'esterno". L'operazione "Cosa mia" era scattata in seguito ad un'indagine condotta dalla Questura di Reggio Calabria e dal Commissariato di Palmi, coordinati dalla DDA di Reggio Calabria. Al centro dell'inchiesta l'interesse di alcune famiglie operanti nel territorio compreso tra Palmi, Seminara e Barritteri, verso gli appalti nei cantieri del costruendo quinto macrolotto della Salerno-Reggio Calabria. Come era emerso dagli atti dell'inchiesta "Arca", che si era occupata delle infiltrazioni mafiose nei lavori del quarto macrolotto, le cosche avrebbero preteso dalle imprese il versamento del 3%, quale tassa "ambientale" di sicurezza imposto nei territori di competenza.
Proprio il conflitto per stabilire chi doveva intascare il "pizzo" avrebbe provocato il riaccendersi della faida di Barritteri che aveva lasciato sul terreno altri nove morti ammazzati. Elena Bruzzise, seppur scarcerata, rimane imputata nella tranche del processo "Cosa Mia" che si sta celebrando con il rito ordinario davanti alla Corte di Assise di Palmi, la cui prossima udienza è fissata per lunedì 13 febbraio per l'esame, da parte dei Pubblici Ministeri Roberto Di Palma e Giovanni Musarò, del teste Maximiliano Orrico sulle intercettazioni ambientali in carcere captate ai detenuti Gallico e Bruzzise.