Preso il boss Aquino, impartiva ordini dal bunker
Il boss latitante Rocco Aquino, 52 anni, considerato il capo dell'omonima cosca, è stato arrestato mentre si trovava nascosto all'interno di un bunker di piccole dimensioni, ricavato nel sottotetto della villa di Marina di Gioiosa Ionica, nel Reggino, dove vivevano i familiari. L'accesso al nascondiglio, perfettamente camuffato, era possibile attraverso una botola attivabile tramite sofisticati congegni elettromeccanici. Aquino, inserito nell'elenco dei latitanti piu' pericolosi in ambito nazionale, era ricercato per associazione mafiosa, estorsione ed altro, a seguito della prima fase della maxi operazione "Il crimine", conclusa nel luglio 2010, e coordinata dalle procure distrettuali di Reggio Calabria e Lilano. L'attività investigativa, che aveva portato all'arresto di circa 300 indagati per associazione mafiosa ed altro, aveva tra l'altro delineato la figura del latitante Rocco Aquino, all'interno della "provincia" ed il ruolo di vertice assunto nel "locale" di Marina di Gioiosa Ionica. Nel mese di ottobre 2010, le indagini del Ros avevano già consentito di localizzare tre dei bunker utilizzati dal latitante per sottrarsi alla cattura. L'intervento di ieri, eseguito dai carabinieri del Ros, del comando provinciale di Reggio Calabria e dello squadrone eliportato cacciatori di "Calabria" - spiegano gli inquirenti - costituisce un risultato di eccezionale rilevanza nell'ambito dell'ampia manovra investigativa sviluppata dai carabinieri e coordinata dalla procura distrettuale di Reggio Calabria nei confronti delle cosche della 'ndrangheta che ha determinato, a partire dal 2004, la cattura di numerosi capiclan del calibro di Giuseppe Morabito, Pasquale Condello, Gregorio e Giuseppe Bellocco, Giuseppe e Salvatore Coluccio (cugini di Rocco Aquino), Antonio Pelle e Girolamo Mole' che, dalla latitanza, continuavano a dirigere i sodalizi di riferimento.
LA STORIA | Rocco Aquino, 52 anni a luglio, figlio di Vincenzo e fratello del 50enne Giuseppe, compare per la prima volta nelle cronache giudiziarie nel luglio 1976 quando, ancora minorenne, è stato denunciato in stato di irreperibilità dai carabinieri alla Procura della Repubblica di Locri per l’omicidio di Leonardo Zullo ed il tentato omicidio di Carmelo Pugliese, entrambi di Marina di Gioiosa Jonica. Condannato in primo grado a 18 anni di reclusione, è stato assolto, nel 1981, al termine del giudizio di appello, per insufficienza di prove. In tale ambito, dopo essere stato inviato al soggiorno obbligato nel comune di Civitella Casanova (PE) per la durata di 3 anni, in esecuzione ad una misura di prevenzione emessa dal Tribunale di Reggio Calabria e successivamente revocata, nel gennaio 1984 è stato nuovamente sottoposto alla misura della prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. per un periodo analogo. Nel frattempo, nel dicembre 1979, è stato raggiunto da un ordine di cattura della Procura di Locri per associazione per delinquere, condannato nell’aprile 1981 a 2 anni di reclusione.
Tra la fine degli anni ’80 ed i primi anni ’90, è stato al centro dell’operazione Zagara coordinata dall’A.G. di Reggio Calabria, che ne ha accertato il ruolo mafioso sempre più rilevante all’interno della famiglia Aquino, anche per il controllo del narcotraffico. Le indagini inoltre avevano documentato i consolidati rapporti tra gli Ursino-Macrì di Gioiosa Jonica, gli Aquino- Coluccio – Scali di Marina di Gioiosa Jonica ed i Commisso di Siderno. Significative, a riguardo, le dichiarazioni all’epoca rese dal noto collaboratore Vittorio Ierinò, in base alle quali le famiglie egemoni a Gioiosa Marina sono risultate proprio essere quelle dei Mazzaferro e degli Aquino, questi ultimi in conflitto con i primi ed in strettissimi rapporti di affari con i Coluccio nonché i Commisso e gli Scarfò di Siderno, a favore dei quali si erano schierati nella sanguinosa guerra contro i Costa, poi decimati. All’interno della famiglia Aquino risultavano peraltro inseriti noti brokers internazionali del traffico di cocaina dal Sud America, come gli Scali (Antonio, Natale e Vincenzo) ed i Lucà (Francesco, Nicola e Giuseppe), alcuni dei quali al centro dell’indagine Decollo del ROS che nel gennaio 2004, aveva consentito l’esecuzione di 154 provvedimenti restrittivi con il sequestro di oltre 5000 kg di cocaina e la documentata importazione di altri 7800 kg.
Le indagini avevano anche documentato l’evoluzione criminale della famiglia Aquino, dedita negli anni '70 soprattutto alla commissione di truffe e fallimenti fraudolenti e, in una seconda fase, pienamente attiva nel narcotraffico internazionale con collegamenti funzionali in Canada e negli U.S.A. oltre che nel riciclaggio dei relativi proventi, per lo più reinvestiti nel settore immobiliare. Rocco Aquino, nipote prediletto dello storico capo clan Salvatore Aquino, nel dicembre 1997 è stato colpito da un’ulteriore ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP di Reggio Calabria per usura e riciclaggio con l’aggravante mafiosa, reati per i quali l’anno successivo è stato rinviato a giudizio. Lo stesso peraltro era risultato indagato anche nell’ambito dell’indagine Windshire, avviata dal ROS nel 1998 in direzione di una struttura transnazionale di matrice ‘ndranghetista dedita ad un vasto traffico di cocaina dal Sud America, organizzato dal noto brokers internazionale Roberto Pannunzi, responsabile di pluriennali ed ingentissime spedizioni dal Venezuela in Italia, attraverso l’Africa e la Spagna.
Come anticipato, Rocco Aquino era stato infine colpito da un ulteriore provvedimento di fermo per il quale era ricercato, emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nell’ambito dell’operazione “Il Crimine”. L’operazione, nel cui ambito le Autorità giudiziarie di Milano e Reggio Calabria hanno raccordato e coordinato numerosi procedimenti penali collegati fornendo un quadro complessivo ed unitario degli assetti organizzativi della ‘ndrangheta, delle sue articolazioni extraregionali e dei comuni interessi illeciti, ha accertato come la matrice criminale, dopo un lento processo evolutivo, già delineato da alcuni collaboratori di giustizia nei primi anni ’90, abbia raggiunto una nuova configurazione organizzativa, in grado di coordinare le iniziative criminali delle singole articolazioni, soprattutto nei settori dell’infiltrazione negli appalti pubblici e del traffico internazionale di stupefacenti. Le citate indagini hanno infatti tecnicamente documentato come le cosche della provincia di Reggio Calabria rimangano il centro propulsore delle iniziative dell’intera ‘ndrangheta, nonché il principale punto di riferimento di tutte le articolazioni extraregionali, nazionali ed estere. A tal fine è stato creato un organismo assolutamente inedito, denominato “Provincia”, riferimento dei responsabili di 3 “mandamenti” in cui sono stati ripartiti i “locali” del capoluogo e delle aree tirrenica e ionica.
Un ordine gerarchico all’interno di tale organismo che, tuttavia, garantisce ai singoli sodalizi ampi margini di autonomia, risulta assicurato dai tradizionali gradi (“sgarro”, “santa”, “vangelo”) e ruoli (capocrimine, mastro di giornata e contabile) nei diversi livelli dell’organizzazione. L’attività investigativa ha documentato come tale modello organizzativo sia stato esteso anche alle proiezioni nel nord Italia (Lombardia, Liguria e Piemonte) e all’estero (in Svizzera e Germania), con la costituzione di “locali” e, laddove maggiore è risultata la loro concentrazione, di organismi assimilabili ai “mandamenti”, come in Lombardia e Liguria. Tali articolazioni, seppur dotate di libertà decisionale relativamente alle attività locali, rimangono comunque dipendenti dalla ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria. Proprio nel corso delle indagini in parola, sono state documentate numerose riunioni tra i maggiori esponenti delle cosche del mandamento ionico, per la risoluzione di problematiche interne, tra cui quella relativa all’omicidio di Carmelo Novella. Sono così emerse ulteriori conferme circa l’operatività degli organismi denominati “provincia” e “mandamento” e la rispettiva influenza nella determinazione degli assetti dei sodalizi dipendenti, tra cui quello di Gioiosa Ionica, all’interno del quale veniva ricomposta una scissione, con la nomina a capo società dell’indagato Rocco Aquino, in sostituzione di Nicola Rocco Aquino. Inoltre è stato possibile individuare gli interessi economici della cosca nella gestione, anche attraverso prestanome, di alberghi, esercizi pubblici, imprese edili ed immobili. Alcuni di essi, per un valore di 10 milioni di euro, venivano sottoposti ad un provvedimento di sequestro preventivo.