Millantato credito, arrestati funzionaria Cassazione e faccendieri
Una funzionaria della Corte di Cassazione e due “faccendieri” sono stati arrestati nell'ambito di un'inchiesta della Dda di Bologna perché considerati responsabili del reato di millantato credito per aver preteso (nessun magistrato è coinvolto) di poter aggiustare un processo della Suprema corte in cui era sottoposto a giudizio Nicola Femia, ritenuto un boss della ‘ndrangheta, accordandosi per un compenso di 400mila euro.
Nei confronti dei tre, Teresa Tommasi (dipendente amministrativa della Cassazione), M.C. e N.P. (i due presunti faccendieri) i finanzieri del comando provinciale di Bologna, con la collaborazione dei colleghi di Roma, hanno eseguito altrettante ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari emesse dal gip di Bologna su richiesta della procura felsinea.
Sono accusati di aver millantato l’esercizio di indebite pressioni per ‘ammorbidire’ la condanna a 23 anni e 4 mesi di reclusione inferta a Nicola Femia per vari reati associativi.
L'attività nasce dalle indagini eseguite dalle fiamme gialle bolognesi nell’ambito dell’operazione denominata Black Monkey relativa ad un organizzazione criminale dedita al gioco on line illegale facente capo proprio al Femia.
Le attività investigative avevano portato all’esecuzione, nel gennaio scorso, di 29 ordinanze di custodia cautelare nei confronti dei sodali dell’organizzazione ed al sequestro di beni per oltre 90 milioni di euro.
Nel corso degli accertamenti è, infatti, emerso che il Femia avesse incaricato un suo uomo di fiducia, Guido Torello (arrestato per vari reati, tra cui quello relativo alle gravi minacce ai danni del giornalista Giovanni Tizian) di “adoperarsi”, attraverso sue conoscenze, affinché il giudizio penale all’epoca pendente in Cassazione nei suoi confronti si risolvesse con una pronuncia favorevole.
Torello, questa la ricostruzione degli investigatori, si sarebbe quindi rivolto a M.C. ed a N.P., ritenuti in grado di riuscire nell’intento grazie alle conoscenze vantate in diverse sedi istituzionali.
Secondo la Gdf, il secondo, in particolare, avrebbe contattato la dipendente amministrativa della Suprema Corte, Tommasi, al fine di reperire notizie e informazioni.
Per le loro prestazioni il Femia avrebbe versato ai due intermediari 100mila euro impegnandosi a versarne altri 300mila all'emissione della sentenza definitiva.
Il provvedimento della suprema Corte annullando con rinvio la sentenza di condanna emessa in secondo grado, non avrebbe però soddisfatto Femia che, con modalità intimidatorie, avrebbe cercato di rientrare in possesso dei soldi già versati, rifiutandosi di versare gli ulteriori pattuiti.
Dalle indagini della Guardia di finanza emergerebbe che, analogamente a quanto verificatosi per il Femia, i tre destinatari dei provvedimenti restrittivi avrebbero anche ricevuto una ingente somma di denaro millantando la possibilità di influenzare il giudizio della Cassazione nei confronti di Raffaele Petrone, esponente legato alla camorra campana, già condannato a sette anni per tentato omicidio.
La Suprema Corte aveva, però, rigettato il ricorso dell'imputato generando - hanno ricostruito le Fiamme gialle - una forte preoccupazione dei tre arrestati per possibili ripercussioni sulla loro persona. (AGI)