Il corpo al centro della cura. Corso di formazione centro clinico San Vitaliano
Partire dalla percezione emotiva individuale per promuovere una migliore relazione con il paziente istituzionalizzato.
Ritrovare nei solchi emozionali degli operatori quelle tracce emozionali indispensabili per poter dare conforto e serenità ai pazienti. Dare la possibilità di conoscere meglio se stessi per poter vedere con occhi nuovi la sofferenze di chi ci sta di fronte.
Riscoprire tatti e con-tatti gentili con cui approcciarsi al paziente, imparare a modulare il tono della voce sulla frequenza del rispetto, riuscire a comunicare con il dialogo oculare quando ogni collegamento verbale risulta alterato, trasmettere sempre serenità ed allegria, utilizzare il proprio corpo come strumento in grado di innescare una sintonia terapeutica tra il curante ed il curato.
In una parola: qualità terapeutica. Partendo da questi presupposti si sono svolte le giornate di laboratorio di Terapia espressivo corporea integrata all’interno del Centro Clinico San Vitaliano, l’unico centro in Calabria che si occupa di pazienti con la Sclerosi laterale amiotrofica e che, per volere del dott. Alfredo Citrigno, ha visto il coinvolgimento di tutto il personale sanitario, infermieristico, terapeutico, ausiliario, amministrativo che lavora all’interno della struttura.
I laboratori che hanno avuto inizio giorno 15 giugno e che si sono conclusi sabato scorso per una durata quotidiana di 8 ore di attività, sono stati condotti dalla dott.ssa Elena Sodano terapeuta espressivo corporea della Ra.Gi. Onlus in collaborazione di un’equipe di supporto formata dagli educatori Renata Raffaele, Pamela Rotella e da Mattia Arrotta e Danilo Sisca agli Djembè. La metodologia di lavoro è quella che dal 2008 ad oggi viene applicata,ma sempre in continua evoluzione, dagli operatori che lavorano all’interno dello Spazio Al.Pa.De. Un approccio metodologico – formativo che mette al primo posto un profondo lavoro corporeo emozionale e relazionale in grado di far stare bene il personale che, di conseguenza, è in grado di dare ai pazienti quella forza e serenità necessaria per affrontare la loro malattia.
“Partire dalla formazione emotiva e relazionale del personale per poter promuovere la qualità terapeutica all’interno della propria struttura è un elemento di innovazione per la sanità calabrese che dovrebbe essere d’esempio per tutti coloro che sono ogni giorno a contatto con la sofferenza umana – afferma la Sodano -. Un ambiente di cura dev’essere un ambiente in cui l’ammalato deve stare bene e non sentirsi un peso. La perdita, il fallimento e la delusione sono senza dubbio tra le esperienze più comuni che si incontrano nelle professioni di relazione d’aiuto. La gran parte di questi sentimenti esplosivi restano però ignorati e non elaborati. L’aspettativa di trovarsi immersi nella sofferenza e nella perdita, senza venirne toccati è però molto irrealistica proprio come pensare di camminare nell’acqua senza bagnarsi.
Il nostro continua proteggerci dal dolore ci fa arrivare ad un ottundimento che non può essere assolutamente compatibile con la relazione che chi lavora con “il dolore umano” deve avere. Eppure troppo spesso permettiamo ai nostri cuori di riempirsi cosi tanto con la sterile abitudine della perdita e del dolore, da non riuscire a provare ancora qualche sentimento di fronte alla sofferenza, di trattare il malato come un “dato per scontato”, di non restituirgli con le nostre attenzioni e azioni quella rispettabilità che merita. E allora ben vengano questo momenti in cui si lavora molto sul corporeo.
Questo nostro contenitore è continuamente attraversato da correnti emozionali difficilmente gestibili . Esso è il muto protagonista della vita di relazione e dei processi comunicativi: vive di relazione e si ammala di relazione e, se come spazio comunicativo, rivela innanzitutto la sofferenza che circola nella relazione clinica, con il suo potenziale creativo, rappresenta anche una preziosa risorsa di benessere per chi contatta il dolore umano”.