L’INCHIESTA. La ‘ndrangheta a Brescello non c’è! E per il sindaco il boss è gentile
Anche a Brescello, il paesino reso celebre da Giovanni Guerischi con le pellicole di “Peppone e Don Camillo”, si parla di ‘ndrangheta. Un comune di poco più di cinquemila anime, dove la presenza del clan Aracri, originario del crotonese, viene avvertita con sentimenti contrastanti: tra chi ammette e chi invece nega (o vuole credere di non vedere) la pervasività della criminalità organizzata anche in regioni (a noi lontane) come l’Emilia Romagna.
A cercare di analizzare o, quantomeno fotografare, la realtà dei fatti ci ha pensato una giovane troupe composta da studenti e giornalisti di Cortocircuito.tv, una web-tv e un giornale studentesco indipendente, di Reggio Emilia, composto da una quindicina di ragazze e ragazzi universitari che hanno realizzato un docufilm in tre parti, dal titolo “La ‘Ndrangheta di casa nostra. Radici in terra emiliana” (nel video la prima parte, cliccando sul link potrete vedere tutte le puntate).
Accompagnati da Marcello Coffrini, sindaco di Brescello (del Pd), la troupe visita i terreni sequestrati (per 3 milioni di euro) al clan: è proprio lì che sono affiancati da un furgoncino che chiede spiegazioni e poi dallo stesso Aracri. Il sindaco si apparta con l’uomo, spiega la situazione e tornato conferma che si trattava proprio di Francesco Grande Aracri, il presunto boss considerato dagli inquirenti punto di riferimento della ’ndrangheta in Emilia, condannato nel 2008 per mafia in via definitiva e sottoposto alla sorveglianza speciale
“E’ gentilissimo, molto tranquillo. Parlando con lui si ha la sensazione di tutto tranne che sia quello che dicono che sia” racconta nel video lo stesso sindaco Coffrini aggiungendo che Aracri “è uno molto composto ed educato che ha sempre vissuto a basso livello”. “La famiglia - spiega ancora il primo cittadino - qui ha un’azienda che adesso è riuscita a ripartire: fanno i marmi. Mi fa piacere che siano ripartiti”. E poi la chiosa, nell’intervista: “La criminalità organizzata? A Brescello non c’è”. Coffrini dixit.
Nel documentario, poi, altri spaccati emiliani: come la scuola di Montecchio, in provincia di Reggio Emilia, mai completata ed il cui appalto era stato vinto da un’azienda campana che non avendo presentato il certificato antimafia ha abbandonato i lavori. La testimonianza di un lavoratore, a volto coperto, che denuncia come dopo l’incendio di un escavatore una ditta locale abbia “cominciato a subappaltare lavori a imprese del sud”. E la reticenza della gente comune che nella maggior parte dei casi non si vuole esprimere sul radicamento della ’ndrangheta nella provincia reggiana.
Il tutto contornato dall’ombra di presunte aderenze tra ‘ndrangheta e mondo della politica: “a tacere non sono stati solo calabresi, campani o siciliani ma molti reggiani doc” confessa Elia Minari, coordinatore della web-tv e giovane video maker. “Una diffidenza e un silenzio - confessa - che ci hanno abbastanza impressionato. Frasi che francamente ci saremo aspettati di sentire forse al sud, ma mai nel cuore dell’Emilia. Come dicono le relazioni dell’antimafia - conclude Minari - parte del territorio reggiano era ben disposto a fare affari con personaggi legati alla ’ndrangheta. Lo dimostrano le 50 aziende bloccate da provvedimenti della prefettura tra Modena e Reggio”.