‘Ndrangheta, 30 arresti e perquisizioni: gli affari a Roma dei clan della Locride
Oltre 450 agenti tra Polizia di Stato e militari della Guardia di Finanza stanno eseguendo, dalle prime ore di stamattina, una trentina di misure cautelari personali nei confronti di una presunta organizzazione criminale che sarebbe attiva a Roma e collegata a cosche di ‘ndrangheta della Calabria. Decine le perquisizioni che sono in corso in diverse regioni d'Italia. Sequestrati in totale circa 600 chili di cocaina e hashish oltre ad armi da fuoco.
Vari i reati contestati a vario titolo: tra questi quello dell’omicidio di Vincenzo Femia, il presunto boss di San Luca ritenuto il referente su Roma del clan Nirta-Scalzone ed ucciso il 24 gennaio del 2013; alcuni ferimenti e diverse estorsioni.
In particolare, sotto la lente degli investigatori è finita la cosca Pizzata che opera nella Locride e che, secondo quanto accertato dagli inquirenti, gestirebbe diversi affari nella Capitale, tra cui il traffico di stupefacenti. Le indagini sono state coordinate dal procuratore Michele Prestipino mentre l’inchiesta è coordinata dalla Dda di Roma.
IL ‘CODICE DI SAN LUCA’ SVELA IL RITO DI AFFILIAZIONE
Durante le perquisizioni è stato anche ritrovato il rito di affiliazione alla 'ndrangheta, il cosiddetto “Codice di San Luca”, appunti che erano contenuti in un quaderno che è stato opportunamente decifrato svelando gli arcaici meccanismi procedurali che regolano il rito e la cui veridicità, spiegano gli investigatori, fin’ora “era sospesa tra la tradizione e la leggenda”.
Nel corso delle indagini sono stati sequestrati complessivamente circa 600 chili di cocaina e hashish e diverse armi da fuoco. Numerosi gli episodi delittuosi contestati dalla Direzione distrettuale antimafia e riconducibili a vario titolo agli arrestati: tra questi, l'omicidio di Vincenzo Femia, avvenuto a Roma il 24 gennaio 2013, alcuni ferimenti con armi da fuoco ed episodi estorsivi.
I dettagli dell'operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa in programma in Questura alle 11, con il procuratore aggiunto della Dda della capitale, Michele Prestipino Giarritta, ed esponenti della Polizia di Stato e della Guardia di finanza.
COSÌ I POLIZIOTTI ENIGMISTI DECIFRARONO IL CODICE SEGRETO
11:20 \ "Una bella mattina di sabato Santo, allo spuntare e non spuntare del sole, passeggiando sulla riva del mare vitti una barca con tre vecchi marinai, che mi domandarono cosa stavo cercando...". E ancora: "Come si riconosce un giovane d'onore? Con una stella d'oro in fronte, una croce da cavaliere sul petto e una palma d'oro in mano. E come mai avete queste belle cose che non si vedono? Perché le porto in carne, pelle e ossa".
Sono questi alcuni dei passaggi del cosiddetto “Codice di San Luca” da cui si evidenzia subito un primo elemento cardine: la ripetizione del 3, il numero esoterico della Trimurti e della Trinità. Tre vecchi, tre vele, se ne parla in un passaggio, più avanti, del codice cifrato dalla polizia, rappresenterebbero i tre segni dell'affiliato alla cosca e i tre fondatori della Camorra, dalla quale la 'ndrangheta ha attinto: Osso, Malosso e Carcagnosso.
Il documento, scoperto nel corso dell’indagine, è saltato fuori grazie ad un personal trainer, Gianni Cretarola, arrestato l'estate scorsa e con alle spalle un omicidio scaturito da una rissa. Cretarola è divenuto un collaboratore di giustizia ed a casa sua gli agenti della mobile sequestrarono anche tre fogli scritti a mano in un alfabeto cifrato: affidato ad alcuni poliziotti appassionati di enigmistica che sono riusciti, partendo da una sola lettera, la “C” a identificare tutti i 21 simboli contenuti e risolvere così l’enigma.
Mostrata la traduzione a Cretarola, quest’ultimo decise così di collaborare raccontando ai poliziotti molti dei dettagli sull’affiliazione alla cosca (la sua avvenne nella calzoleria del carcere di Sulmona) e i gradi della gerarchia ‘ndranghetista: picciotto, sgarrista, santista, vangelista, quartino, trequartino, padrino e capobastone. Si apprenderà inoltre che nella consorteria si accede “per nascita o per battesimo” e che i figli dei boss fino a 14 anni d’età sono definiti "mezzi fuori e mezzi dentro".
IL “RITO DEL BATTESIMO” NEL RACCONTO DEL COLLABORATORE
Per il battesimo - racconterà sempre il collaboratore - sono necessarie cinque persone; “Nella calzoleria - spiega però Cretarola - ce n'erano solo due, oltre a me, gli altri erano rappresentati da fazzoletti annodati”. Primo step del rito la "formazione del locale", una specie di consacrazione (che sarà rifatta al contrario alla fine) e che recita: "Se prima questo era un luogo di transito e passaggio da questo momento in poi è un luogo sacro, santo e inviolabile". Poi si prosegue con l’offerta di sangue. In carcere, mancando ovviamente un coltello verrà utilizzato un punteruolo da calzolaio. Il novizio si punge da solo (se al terzo tentativo non vi riesce viene considerato di pessimo auspicio e si rinvia tutto di sei mesi) e poi hanno inizio le formule di rito: "A nome dei nostri tre vecchi antenati, io battezzo il locale e formo società come battezzavano e formavano i nostri tre vecchi antenati, se loro battezzavano con ferri, catene e camicie di forza io battezzo e formo con ferri, catene e camicie di forza, se loro formavano e battezzavano con fiori di rosa e gelsomini in mano io battezzo e formo...", eccetera. Il rito si ripeterà per tre volte nel tempo, dopo un'opportuna votazione, a ogni passaggio di grado e di status.
Importante anche la presenza di un santino di San Michele che va bruciato. Al novizio spetta solo bere il sangue e recitare il giuramento: "giuro di rispettare le regole sociali, di rinnegare madre, padre, fratelli e sorelle, di esigere e transigere centesimo per centesimo. Qualsiasi azione farai contro le regole sociali sarà a carico tuo e discarico della società".
GLI ARRESTATI
12:10 | Per i reati di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico internazionale (con l’aggravante mafiosa e del reato transnazionale), lesioni, ricettazione, estorsione, danneggiamento, favoreggiamento personale, simulazione di reato, possesso e fabbricazione di documenti falsi e porto e detenzione abusiva di armi. Ordinanza di applicazione misura cautelare personale (custodia cautelare in carcere e degli arresti domiciliari), la cui esecuzione è stata estesa anche in territorio estero, nei confronti di:
Bruno Crisafi cl. 1975 - carcere; Vincenzo Crisafi cl. 1980 - carcere; Giovanni Pizzata cl. 1962 - carcere; Francesco Pizzata cl. 1991 - carcere; Stefano Massimo Fontolan cl. 1975 - carcere; Renato Marino cl. 1972 – carcere; Adamo Castelli cl. 1967 – carcere; Massimiliano Cuccioli cl. 1967 – carcere; Luigi Martelli cl. 1972 – carcere; Marco Torello Rollero cl. 1955 – carcere - MAE; Andrea Rollero cl. 1982 – carcere - MAE; Luca Rollero cl. 1987 – carcere - MAE; Giuseppe D’alessandri cl. 1956 - carcere; Gondalez Juan Ignacio Espil cl. 1979 - carcere - MAE; Giuseppe Langella cl. 1955 – carcere; Roberta D’annibale cl. 1972 - carcere; Salvatore Gallo cl. 1979 - domiciliari; Giovanni Scognamiglio cl. 1979 – domiciliari; Francesco Virgilio cl. 1966 - domiciliari; Massimiliano Sestito cl. 1972 - carcere; Antonio Pizzata cl. 1978 - carcere; Raffaele Gallo cl. 1964 - carcere; Antonio Sestito cl. 1943 - domiciliari; Andrea Gusino cl. 1956 - carcere; Mario Longo cl. 1981 - carcere; Sebastiano Cossu cl. 1961 - domiciliari; Alessandro Curci cl. 1974 - domiciliari; Salvatore Manca cl. 1977 - carcere; Davide Sestito cl. 1978 - carcere; Francesco Sestito cl. 1949 - domiciliari; Antonio Angelo Pelle cl. 1967 – carcere;
Oltre 35 le perquisizioni effettuate tra Lazio, Calabria, Liguria e Piemonte e che hanno interessato anche la Cooperativa Edera, oggetto delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, secondo il quale la stessa sarebbe coinvolta anche nell’operazione Mondo Di Mezzo sulla cosiddetta Mafia Capitale, ed era disponibile per la solo formale assunzione di ‘ndranghetisti.
I COLLEGAMENTI CON I CLAN PELLE-NIRTA-GIORGI
L’organizzazione criminale che operava nella Capitale, secondo gli investigatori sarebbe collegata alle temutissime cosche calabresi dei “Pelle-Nirta-Giorgi Alias Cicero” di San Luca, nel reggino. Le Fiamme Gialle del Gico sarebbero riuscite anche a ricostruire in maniera analitica le rotte delle ingenti partite di droga importate a Roma e squestradno contestualmente i 600 chilogrammi di cocaina e hashish.
Gli esponenti apicali del sodalizio, originari di San Luca, risultano da anni radicati in città, nei quartieri Appio-San Giovanni, Centocelle, Primavalle ed Aurelio, dove conterebbero su una fitta rete di connivenze, in grado di garantire completo anonimato e fornire, all’occorrenza, supporto logistico ai latitanti calabresi.
In questo contesto, si inseriscono le catture, a Roma, e ad opera dei finanzieri, del latitante internazionale Luigi Martelli, 42 anni, (arrestato il 9 gennaio dell’anno scorso in via Lucciano) ritenuto contiguo alla cosca pelle di San Luca e ricercato dal maggio 2012; del latitante internazionale Edmundo Josè Salazar Cermeno (44), alias “Mundo” o “Il Chimico”, arrestato il 2 ottobre del 2013 in zona Prima Porta e considerato contiguo alle potenti e note cosche di ‘ndrangheta “Aquino” e “Coluccio” e ricercato dal luglio 2011; del latitante Francesco Nirta (27), ricercato dal dicembre 2012 ed arrestato il 6 luglio del 2013 alla Stazione Termini mentre era in partenza per Reggio Calabria, ritenuto contiguo ad esponenti delle cosche Nirta (alias “Terribile”) e Mammoliti (alias “Fischiante”).
I RAPPORTI CON I NARCOS COLOMBIANI
Il gruppo criminale - spiegano gli investigatori - era organizzato gerarchicamente e vantava, peraltro, anche importanti ramificazioni a Genova, Milano e Torino, località dove avrebbero costituito delle consolidate basi logistiche, necessarie al momentaneo stoccaggio delle partite di droga che venivano importate.
Le indagini, in sintesi, avrebbero documentato come la cellula criminale ‘ndranghetista, forte di propri emissari, stanziati in Colombia e Marocco, fosse in grado di trattare alla pari con i più agguerriti cartelli di narcos colombiani e risultasse determinata a monopolizzare il mercato della droga capitolino, ponendosi come referente affidabile e competitivo per le altre organizzazioni criminali sul territorio, sia collegate a diverse ‘ndrine calabresi sia per soggetti contigui a clan camorristici del napoletano.
Il tutto per un giro d’affari di decine di milioni di euro che, inevitabilmente, sarebbero stati immessi nel circuito legale dell’economia, andando ad alterare regole di concorrenza “che sovrintendono al regolare andamento del mercato”.
In aggiunta, aderendo alla volontà della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma di attribuire ampio respiro alle attività investigative, per il tramite della Direzione Centrale Servizi Antidroga, sono stati avviati approfondimenti anche in Sudamerica e Spagna, dove sarebbero state individuate strutturate basi operative gestite dall’organizzazione.
Parallelamente, la Polizia ha svolto le indagini originate dall’omicidio di Vincenzo Femia, ritenuto il referente sul territorio romano della cosca Nirta, alias Scalzone, di San Luca (RC) assassinato a Roma il 24 gennaio 2013 con tipiche modalità del metodo mafioso e a opera di un commando di killer che sarebbe stato formato da Massimiliano Sestito, Francesco Pizzata, Antonio Pizzata e Gianni Cretarola (arrestati dalla mobile di Roma per omicidio volontario aggravato).
I RETROSCENA DELL’OMICIDIO FEMIA
A seguito dell’arresto, il contributo fornito da un indagato, che aveva ammesso di far parte della ‘ndrangheta calabrese, ha fornito elementi decisivi che hanno consentito di individuare un nucleo direzionale rappresentato da soggetti considerati di “elevatissimo spessore criminale, stabilmente dediti al traffico internazionale di stupefacenti ai massimi livelli, e caratterizzato, nel contempo, oltre che dal contesto criminale di appartenenza, dalla disponibilità di armi e da una considerevole potenzialità offensiva”; ai sodali sono stati contestati, con l’aggravante del metodo mafioso, i reati di lesioni, ricettazione, estorsione, danneggiamento, favoreggiamento personale, simulazione di reato, possesso e fabbricazione di documenti falsi e porto e detenzione abusiva di armi.
In questo contesto sarebbe emerso che il movente dell’omicidio di Femia sarebbe stato da ricollegare a contrasti sorti nella spartizione del mercato della droga nella Capitale, gestito da due potenti cosche di ‘ndrangheta di San Luca che avevano trasferito i propri interessi economici a Roma, in particolare quella dei Nirta, rappresentata dai fratelli Crisafi, e quella dei Pizzata, che faceva capo a Giovanni Pizzata. “In città – raccontano gli investigatori - operavano figure di grande rilievo e prestigio criminale, tra le quali Massimiliano Sestito, Giovanni Pizzata e Bruno Crisafi”.
Proprio Giovanni Pizzata avrebbe costituito nella capitale, nella ricostruzione dell’indagine, un gruppo di fuoco composto, tra gli altri, da Massimiliano Sestito e da Gianni Cretarola, gravati da precedenti per omicidio. Tra gli episodi loro ascrivibili, viene menzionato nell’inchiesta il ferimento di un marocchino ad Ardea, responsabile di aver occupato illegalmente una abitazione già occupata da un amico di Giovanni Pizzata, nonché il ferimento di Teodoro Battaglia, carrozziere gambizzato nell’ottobre 2012 per aver mancato di rispetto nei confronti di Gianni Cretarola e Massimiliano Sestito, che si erano recati presso la carrozzeria per rintracciare un parente della vittima che aveva un debito pregresso con Francesco Sestito, zio di Massimiliano.
I GRADI E LE DOTI NELLA ‘NDRANGHETA
Sempre nel prosieguo delle investigazioni sono state descritte, in maniera dettagliata, le fasi dell’affiliazione e dell’acquisizione delle successive “doti” o “gradi” in seno alla compagine criminale e, nel corso della perquisizione dei locali in uso a uno degli indagati, è stato sequestrato un “arsenale” di armi da fuoco ad alto potenziale, composto da sei pistole, un fucile da caccia, un giubbotto antiproiettile e munizionamento di vario calibro, un quantitativo di sostanza stupefacente e il quaderno dove erano riportati degli appunti, criptati utilizzando un alfabeto non ulteriormente individuato, i quali, opportunamente decifrati dalla Squadra Mobile, hanno svelato i contenuti e gli arcaici meccanismi procedurali che regolano il “rito di affiliazione” alla ‘ndrangheta. Nel corso delle indagini è stato anche ricostruito e contestato un episodio estorsivo a danno di un imprenditore, consumato mediante utilizzo di armi da fuoco, con la stessa aggravante dell’aver agevolato la ‘ndrangheta.
L’attività di oggi ha visto l’impiego di oltre 450 tra militari della Guardia di Finanza e agenti della Polizia di Stato, con il supporto di elicotteri ed unità cinofile. Valido supporto all’attività della polizia giudiziaria capitolina è stato fornito poi dal personale delle Questure e dei Comandi delle Fiamme Gialle delle province di Reggio Calabria, Bologna, Torino, Pescara, Terni, Catanzaro, Frosinone e Genova, oltre che dai Reparti Speciali e di Polizia Scientifica, dai “Baschi Verdi” della Gdf nonché dal Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria.
GIP, SVELATE LE REGOLE PER AFFILIAZIONE ALLE COSCHE
h 17:56 | "L'affiliazione può aver corso in due modi: per nascita, modalità riservata a coloro che già appartengono ad una famiglia mafiosa, o per "battesimo",tramite il rito di ''affiliazione”, che vincola il soggetto all'organizzazione fino alla morte". È quanto scrive il gip del tribunale di Roma, Roberto Saulino, nell'ordinanza dell'inchiesta che ha smantellato nella capitale l'organizzazione 'ndranghetista originaria di San Luca.
L'indagine si è avvalsa della collaborazione del pentito Gianni Cretarola, arrestato per l'omicidio del boss Vincenzo Femia, avvenuto nel gennaio del 2013 nella capitale.
Il pentito riferisce agli inquirenti i gradi di affiliazione alle cosche:"picciotto, camorrista, sgarrista, santista, vangelista, quartino, trequartino, padrino e capobastone" che vengono definite "le 'doti' con cui si identifica uno 'ndranghetista".
"Si viene battezzati con un rituale preciso- scrive il gip Saulino nell'ordinanza - che può celebrarsi poco dopo la nascita (se si tratta del figlio di un importante esponente dell'organizzazione; in questo caso, finché il bambino non raggiungerà i quattordici anni, età minima per entrare nella 'ndrangheta, si dirà che il piccolo è "mezzo dentro e mezzo fuori"), oppure attraverso un giuramento, per il quale garantisce con la vita il mafioso che presenta il novizio". "Il rituale del battesimo è simile ad una cerimonia esoterica, - è scritto ancora nelle 684 pagine di ordinanza - durante la quale il nuovo affiliato è chiamato a giurare nel nome di nostro Signore Gesu' Cristo. Il battesimo vincola per tutta la vita e le devianze sono spesso pagate anche dalla famiglia dell'affiliato".
Il pentito Gianni Cretarola nel corso di un interrogatorio racconta di "di essere stato affiliato alla 'ndrangheta nel 2008, mentre si trovava ristretto nel carcere a Sulmona" con "l'intermediazione attiva di Massimiliano Sestito, Rocco Fedele e Bono Michele Bono" e di aver iniziato con il grado di "picciotto".
Sempre nell'ordinanza si sottolinea il sequestro avvenuto nell'abitazione di Cretarola, sulla via Palmiro Togliatti, di "un quaderno a righe di colore rosso, contenente appunti scritti di pugno dallo stesso indagato" con "annotazioni riportate in caratteri non convenzionali" che poi sono state decriptate permettendo di svelare il cosiddetto codice di Lan Luca: una favoletta che viene recitata dagli appartenenti alla 'ndrangheta per riconoscere gli altri "uomini d'onore" e la preghiera a San Michele Arcangelo.
"San Michele Arcangelo è, infatti, - spiega il gip Saulino - una sorta di Santo Patrono della 'ndrangheta, tanto che, come accertato anche nel corso di indagini svolte nell'ambito di altri procedimenti, colui che deve essere "affiliato" deve giurare con la figura del Santo nelle mani". (AGI)