Si consegna a Fiumicino. Si chiude dopo due anni la latitanza di Crisafi
È finita all’aeroporto Leonardo da Vinci la latitanza di Bruno Crisafi, considerato elemento di spicco della cosca sanluchese dei “Pelle-Nirta-Giorgi”, alias “Cicero”. Crisafi era sfuggito nel 2015 all’arresto, da parte della Guardia di finanza, di 39 persone ritenute vicine ad un’organizzazione criminale attiva a Roma e collegata alle temutissime cosche della cittadina locrese.
Il Tribunale della Capitale, nel maggio del 2016, lo ha condannato in primo grado a 20 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga, aggravata dal metodo mafioso.
Braccato dalle ricerche, supportate dall’estensione internazionale dei provvedimenti restrittivi, il latitante ha deciso di costituirsi, presentandosi all’aeroporto di Fiumicino, dove era in arrivo da Perth. Sbarcato ha trovato i Finanzieri del Gico, gli agenti della Squadra Mobile di Roma e dello Sco che, con la collaborazione della Polizia di Frontiera Aerea, hanno provveduto al suo arresto.
Nei confronti di Crisafi, che da tempo aveva trovato rifugio a Perth presso alcuni parenti, erano state avviate delle iniziative di cooperazione investigativa e giudiziaria che recentemente hanno consentito alle autorità australiane di respingere la sua richiesta di visto per soggiornare in quel Paese.
Le indagini delle fiamme gialle, coordinate dalla Dda di Roma, avrebbero consentito di ricostruire l’operatività nella Capitale di un gruppo criminale che, oltre ad essere specializzato nel narcotraffico internazionale, si sarebbe reso responsabile anche di gravi fatti di sangue, avvenuti nella capitale. Il Gico sarebbe riuscito a ricostruire le rotte delle partite di droga importate a Roma, sequestrando grandi quantità di cocaina e hashish.
La cellula criminale, forte di propri referenti, stanziati in Colombia e Marocco con il compito di trattare, alla pari, con i narcos locali, sarebbe stata intenzionata a monopolizzare il mercato della droga a Roma diventando referente affidabile anche per altre organizzazioni criminali attive sul territorio e collegate ad altre ‘ndrine ed alla camorra, il tutto per un giro d’affari milionario.
La Squadra Mobile, invece, ha arrestato gli autori dell’omicidio del boss della ‘ndrangheta Vincenzo Femia, ritenuto il referente romano della cosca Nirta-Scalzone di San Luca, ucciso a Roma il 24 gennaio del 2013 da un commando mafioso composto da cinque killer calabresi (tra cui vi sarebbero Massimiliano Sestito, Francesco e Antonio Pizzata e Gianni Cretarola).
Gli esponenti apicali, sebbene originari di San Luca, erano da anni radicati nella caiotale, nei quartieri Appio, San Giovanni, Centocelle, Primavalle e Aurelio, contando su una fitta rete di connivenze che gli garantivano di vivere in completo anonimato e fornire, all’occorrenza, supporto logistico ai latitanti.
Il sodalizio criminale, organizzato gerarchicamente, avrebbe avuto ramificazioni anche a Genova, Milano e Torino con basi logistiche per lo stoccaggio momentaneo delle partite di droga importate.
Le indagini hanno così svelato i dettagli delle rotte seguite dalla droga per arrivare in Italia: l’organizzazione poteva vantare propri fidati emissari in Marocco (tra i quali l’allora latitante internazionale Marco Torello Rollero, arrestato ed estradato in Italia lo scorso 9 agosto) e in Colombia; rifugiati in quei paesi, avrebbero trattato con i referenti locali del narcotraffico per acquistare importanti partite di droga, da importare attraverso container commerciali.
In Italia, invece, la filiera della vendita all’ingrosso della droga sarebbe stata curata da Andrea Rollero e dai fratelli Bruno e Vincenzo Crisafi che, considerati vicini alla cosca di ‘ndragheta Giorgi (alias Cicero), benché residenti a San Luca, avrebbero trovato dimora abituale nella Capitale, grazie ad una fidata rete di connivenze.