Colpo ai beni della cosca Gentile-Africano, mega confisca da 15 milioni
Una mega confisca di beni, del valore di circa 15 milioni di euro, è stata eseguita dai finanzieri del Gico di Catanzaro nei confronti della cosca Gentile-Africano, considerata una delle più potenti dell’alto tirreno cosentino. Le fiamme gialle, infatti, nel recente passato avevano eseguito una complessa attività d’indagine di polizia giudiziaria nei confronti di una organizzazione criminale (capeggiata da Tommaso Gentile, indicato dai collaboratori di giustizia come il reggente del clan “Africano” dopo l’omicidio di Francesco Africano) finalizzata ad accertare tutte le presunte attività illecite poste in essere dai suoi componenti ed i metodi di riciclaggio dei proventi derivanti dalle stesse.
L’indagine, secondo gli inquirenti, aveva permesso di riscontrare l’egemonia della cosca sulla città di Amantea ed il totale controllo che aveva sulla struttura portuale della cittadina cosentina, che sarebbe diventata una vera e propria base operativa e strategica, oltre all’impiego illecito di ingenti capitali attraverso intestazioni fittizie di beni ed attività economiche da parte di numerosi personaggi, con l’adozione di metodi mafiosi.
Per le fiamme gialle Gentile sarebbe stato il promotore dell’associazione che aveva l’obiettivo di acquisire, attraverso l’intimidazione mafiosa, in modo diretto o indiretto, la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri. Le investigazioni dimostrerebbero anche l’esistenza di un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ed accerterebbe ulteriori responsabilità, a carico di alcuni soggetti, su episodi connessi al traffico illecito di droga.
Sai sarebbero inoltre scoperte delle presunte connivenze tra noti esponenti politici della zona di quegli anni con il capo clan allo scopo di ottenere l’appoggio della cosca nelle tornate elettorali sia a livello comunale che regionale. Le attività di investigazione, “svolte in un contesto ad altissima densità criminale e - spiegano gli inquirenti - caratterizzato da oggettive difficoltà di penetrazione territoriale” colpirebbero così la criminalità organizzata non solo attraverso le misure cautelari personali ma anche attraverso l’aggressione dei patrimoni illeciti accumulati grazie all’attività criminale del sodalizio.
A conclusione delle indagini eseguite dai finanzieri l’Autorità giudiziaria ha emesso, allora, degli avvisi di garanzia nei confronti 56 soggetti per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, concorso esterno all’associazione mafiosa, porto e detenzione di armi, riciclaggio, estorsione aggravata, usura aggravata, turbata libertà degli incanti e trasferimento fraudolento di valori. Sono stati infine emessi ed eseguiti 39 provvedimenti di fermo che avrebbero consentito di disarticolare completamente il clan “Gentile-africano”. Come accennato, nel corso delle indagini sono state anche eseguite complesse indagini economico-patrimoniali permetterebbero di ricostruire un ingente patrimonio direttamente o indirettamente riconducibile all’organizzazione e che, pertanto, su proposta degli uomini del Gico è stato sequestrato in vista della successiva confisca.
In particolare, oltre al porto di Amantea, sono state sequestrate quote societarie di diverse attività commerciali e la motonave Benedetta II, utilizzata per le crociere alle Eolie. Successivamente le fiamme gialle catanzaresi, sulla base di elementi investigativi acquisiti hanno eseguito altri accertamenti patrimoniali al termine dei quali è stata avanzata una successiva e ulteriore proposta di sequestro finalizzato alla confisca che ha colpito imprese commerciali ritenute riconducibili ai principali componenti della ‘ndranghetista amanteana, portando poi all’esecuzione di un ulteriore sequestro nel corso del 2009.
Con la sentenza definitiva di condanna è stata anche disposta la confisca del patrimonio individuato dal Gico in capo agli imputati, del valore di circa 15 milioni di euro. La confisca, eseguita in questi giorni ha riguardato nel dettaglio beni mobili, immobili ed attività economiche (tra cui quattro lussuose ville e diverse società per un valore stimato in circa 15 milioni di euro), che per effetto del provvedimento sono stati definitivamente acquisiti al patrimonio dello stato e restituiti alla collettività. Gran parte di questi beni era stata già sottoposta a confisca di prevenzione dallo stesso reparto delle fiamme gialle per impedire che l’eventuale assoluzione degli imputati potesse rimetterli nella disponibilità dei beni, dimostrando come l’attività repressiva delle fiamme gialle “si snoda secondo una logica sistemica mediante l’utilizzo efficace e concorrente di tutti gli strumenti normativi previsti onde sottrarre i patrimoni illeciti alle organizzazioni criminali ed impedire alle stesse di rientrarne in possesso nell’ipotesi di assoluzione”.
Lo strumento della confisca di prevenzione, infatti, rappresenta, in tal senso, una sorta di paracadute che consente, dove attivato, di aggredire i patrimoni illeciti anche nell’ipotesi di assoluzione degli indagati nell’ambito del giudizio penale e, per questo, viene proposta sistematicamente dai finanzieri per assicurare l’ablazione definitiva dei patrimoni illeciti al patrimonio dello Stato.