‘Ndrangheta. 5 arresti nel clan Tegano di Reggio. I dettagli

Reggio Calabria Cronaca

La cosca, secondo quanto emerso, aveva imposto ad un'impresa impegnata nella pulizia dei treni il pizzo di 20 mila euro al mese. E' questa l'estorsione che ha portato in carcere cinque persone, che la Squadra mobile della questura di Reggio Calabria ha sottoposto a fermo di polizia giudiziaria disposto dalla DDA della citta' dello Stretto. Le persone soggette al provvedimenti della limitazione della liberta' personale sono Michele Crudo, 33 anni, genero di Giovanni Tegano, il boss del locale di 'ndrangheta del rione Archi, catturato nell'aprile di quest'anno dopo 23 anni di latitanza; Roberto Moio (46); Domenico, Stefano e Davide Carmelo Polimeni, rispettivamente di 34, 22 e 36 anni, tutti e tre residenti a Reggio Calabria. Oltre ai fermi, altre sette persone risultano indagate e tra queste lo stesso Tegano. Crudo e Moio - come ha spiegato il procuratore Giuseppe Pignatone - rivestono in seno alla 'ndrina Tegano ruoli di primissimo piano "che ne permettono la collocazione nella struttura decisionale di vertice di una della piu' potenti cosche della 'ndrangheta calabrese". Durante l'attivita' di polizia tesa alla cattura di Giovanni Tegano, gli uomini della Mobile reggina hanno scoperto che la consorteria del rione Archi di Reggio Calabria, incassava venti mila euro mensili dalla societa' cooperativa "New Labor", associata al consorzio "Kalos", con sede legale nel milanese, incaricato dalla societa' Trenitalia Spa (soggetto appaltante) della pulizia dei convogli ferroviari e della gestione della Platea di lavaggio della stazione di Reggio Calabria Centrale. La stessa cosca Tegano non solo riceveva mensilmente il pizzo, ma controllava le assunzioni, i licenziamenti, la cassa integrazione. Tra le maestranze figuravano anche alcuni soggetti ritenuti vicini alla potente consorteria. L'operazione, denominata in codice "Agatos", avrebbe fatto emergere analoghe estorsioni subite dal consorzio impegnato nella pulizia dei treni a Roma e Bari. Nel corso delle indagini, per ben due volte, sull'auto di uno degli indagati, sono stati trovati i soldi frutto dell'estorsione.