Operazione Crisalide: le intimidazioni, le giovani leve e la “strategia del terrore”
Non solo le estorsioni, i danneggiamenti, o la droga: ma anche il terrore, un ambiente di paura che avrebbe dovuto pervadere il lametino.
Almeno queste le intenzioni del presunto boss, Antonio Miceli, che in una intercettazione che ha lasciato basiti anche i magistrati e gli investigatori, avrebbe incitato i suoi, addirittura, a ripetere il clima delle stragi di Capaci e Via D’amelio, dove persero la vita i giudici siciliani Falcone e Borsellino: un fatto che emergerebbe proprio oggi, e per questo ancora più difficile da accettare, quando ricorre il 25mo anniversario della prima carneficina.
È questo uno dei particolari che emergerebbe dall’operazione Crisalide che oggi ha portato al fermo di 52 persone (Leggi i nomi), ritenute appartenenti alla cosca locale dei Cerra-Torcasio-Gualtieri e a cui la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro contesta reati che vanno dall’associazione mafiosa, al traffico di droga, passando per il possesso di armi ed esplosivi, e poi all’estorsione, al danneggiamento e alla rapina.
Gli investigatori parlano dunque di un controllo “asfissiante” del territorio, quello della Piana lametina appunto, da parte del clan: imprenditori e piccoli commercianti vessati da una cosca di ‘ndrangheta che il procuratore Nicola Gratteri ha etichettato in conferenza come addirittura di “Serie A”.
Contro gli indagati una sfilza di capi d’accusa, circa seicento, a cui si è arrivati dopo una serie di indagini tecniche che avrebbero fatto luce su una ventina di episodi estorsivi e di danneggiamento.
Oggi, così, si sarebbe chiuso il cerchio intorno alle nuove leve del clan, quasi tutti intorno ai 25 anni d’età. Un fattore non irrilevante perché secondo gli investigatori proprio la loro giovinezza gli avrebbe consentito di muoversi con destrezza e spavalderia.