‘Ndrangheta: l’impero di Capano, imprenditore nato dal nulla
Maxiconfisca di beni da parte della Dia di Catanzaro. Nel mirino degli investigatori l’impero patrimoniale di un imprenditore di origini cosentine da anni residente a Roma, Pasquale Capano, 49 anni, condannato in via definitiva con l'accusa di usura aggravata e truffa nell'ambito dell'operazione "Azimuth" contro la cosca Muto di Cosenza. I beni consistono nel patrimonio aziendale, societario e personale dell'imprenditore per un valore di 50 milioni di euro. La confisca è stata eseguita a Roma, Latina, Milano e Cosenza e riguarda 12 società del settore immobiliare e turistico-alberghiero e 57 immobili tra cui 14 appartamenti e terreni edificabili a Roma, 5 autovetture tra le quali una Ferrari F430 e una Hummer. Tra le unità immobiliari confiscate risultano un complesso immobiliare ad uso sportivo, ricreativo e di ristoro con un'estensione di 30.000 metri quadrati situato in via Trigoria a Roma; il villaggio turistico "San Giorgio" a San Nicola Arcella, nel Cosentino, con 34 unità abitative realizzate e altre in corso di costruzione con annessa spiaggia privata e piscina; le quote societarie riferite a un investimento immobiliare a Roma, nella zona di Torrino Mezzocamino, con un'estensione di 2 milioni di metri quadri edificabili. I particolari del provvedimento emesso dalla Corte d'Appello di Catanzaro sono stati resi noti oggi, nel corso di una conferenza stampa che si è svolta a Catanzaro, nella sede della Dia, alla presenza del responsabile regionale Francesco Falbo e del coordinatore di Catanzaro, Antonio Cannarella. A Roma Capano, nativo di Belvedere Marittimo, è stato capace di mettere in piedi un impero grazie ai suoi interessi immobiliari, la passione per le auto di lusso e per lo sport e il commercio. Le attività di indagine sono partite nel 2009, su delega della Procura generale di Catanzaro, e hanno interessato gli affari imprenditoriali compiuti dall'uomo e dai suoi congiunti dal 1987 ad oggi. Capano, nello specifico, dal 1999 al 2009 non ha dichiarato alcun reddito imponibile, mentre vanta diversi precedenti di polizia tra gli anni Ottanta e il 2010. Nella sentenza, i magistrati evidenziarono un giro di usura, gestito in particolare da Capano, con tassi di interesse pari al 10% mensile. Vittima, secondo la sentenza passata in giudicato, un imprenditore che all'epoca dei fatti versava in stato di bisogno. Inoltre, secondo la stessa sentenza, tutto sarebbe avvenuto "al fine di agevolare l'associazione mafiosa Muto, da cui provengono i capitali per i prestiti e a cui affluiscono, in parte, le restituzioni di capitali e interessi".