Operazione ‘Hummer 2’, maxi confisca all’imprenditore Pasquale Capano
I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma hanno portato a compimento un’importante operazione nei confronti dell’imprenditore Pasquale Capano, calabrese di origine ma residente nella capitale anni, ritenuto dagli inquirenti contiguo alla cosca di ‘ndrangheta dei Muto di Cetraro (attiva nell’alto ionio cosentino). All’imprenditore sono confiscati definitivamente beni per un valore complessivo di più di 39 milioni di euro, che ora sono passati così e definitivamente allo Stato.
In particolare il provvedimento è stato eseguito nel Lazio, in Calabria, Campania, Sardegna e Lombardia e riguarda 62 unità immobiliari tra abitazioni e terreni (tra cui una lussuosa villa con piscina e diversi immobili destinati ad attività sportiva e ricreativa, tutti a Roma; nonché un villaggio turistico, denominato “San Giorgio”, a San Nicola Arcella, nel csoentino); 6 autovetture, anche di lusso (tra cui due Ferrari e due Hummer); un natante del tipo aliscafo; quattro società commerciali e quattro rapporti finanziari.
L’attività, svolta dal Nucleo di Polizia Tributaria, rappresenta la conclusione di articolate indagini che, nel dicembre 2013, avevano determinato l’arresto dell’imprenditore, della moglie e del genero. Il Tribunale di Roma (Sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale) accogliendo pienamente l’appello proposto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, ha riconosciuto non solo la sussistenza di gravi indizi nei confronti di Capano e dei suoi familiari ma, soprattutto, la sussistenza delle ipotizzate esigenze cautelari.
LA LEZIONE DI “DIRITTO MAFIOSO”
Più in particolare, i giudici del riesame, valorizzando le investigazioni delle Fiamme Gialle del Gico e condividendo le motivazioni integrative sottolineate dalla Distrettuale Antimafia capitolina, hanno sottolineato “la forza probatoria di un’illuminante lettera”, rinvenuta nel computer dell’imprenditore in precedenti attività di perquisizione.
La lettera, peraltro indirizzata ad un altro pregiudicato mafioso, nel ricordare come l’affiliazione ‘ndranghetista “costituisca una scelta di vita e non già solo un’opportunità affaristica - spiegano gli inquirenti - evidenziava il ruolo criminale preminente del Capano sul destinatario, per poi tenere quella che, in maniera perfetta, è stata definita una vera e propria lezione di diritto mafioso”.
“Essere ‘ndranghetisti - sottolineano ancora gli investigatori - è una scelta non più revocabile e che crea un vincolo di sangue tra gli associati ineludibile, chiamati sempre ad un mutuo soccorso, anche e soprattutto in ipotesi di (prevedibili) infortuni giudiziari”.
Emblematica sarebbe una delle affermazione contenute nella missiva: “… la prima cosa che mi è stata spiegata nelle prime frequentazioni di alcuni ambienti è stata la differenza fra concetto di amicizia e fratellanza … infatti l’amicizia è espressione di una frequentazione abituale, la fratellanza … rappresenta un legame”.
E ancora “… è proprio su questo principio (fondamento della filosofia massonica) che è stato concepito il ‘rituale iniziatico’ di accettazione ed ingresso nella ‘sacra famiglia e onorata società”, radicato nella storia antica della nostra terra d’origine (Calabria). … Si entrava a far parte dell’onorata società attraverso un atto definitivo (patto di sangue), che si stabiliva il legame di fratellanza, tutto questo perché era stato considerato unico vero meccanismo nel comportamento umano che evitava atti di tradimento … il tempo infatti ha dato ragione agli uomini d’onore di una volta, che consideravano l’onorata società pari alla sacra famiglia, di conseguenza non come opportunità affaristica ma come scelta di vita che imponeva ‘regole’ basate sul principio dell’onorabilità e della fratellanza”.
Importanti collaboratori di giustizia e acquisizioni investigative pregresse avevano già consentito, poi, di sottolineare il presunto ruolo di Capano come soggetto che gli inquirenti definiscono “vicino all’organizzazione ‘ndranghetista investigata, operativa nella zona di Roma, e capace di muoversi addirittura con un passaporto diplomatico”; ed ancora: “in contatto con personaggi di spicco della criminalità romana, quali il noto Enrico Terribile (conosciuto alle cronache giudiziarie della capitale per i suoi trascorsi di usuraio e vicino al più noto Enrico Nicoletti), entrambi coinvolti in diverse indagini per i delitti di usura ed estorsione, da ultimo condannati, nel 2007, per associazione a delinquere finalizzata all’usura, estorsione, truffe, reati societari ed altro”; infine: “in affari e responsabile di specifiche condotte usuraie insieme al noto Luciano Casamonica, parimenti personaggio di spicco della malavita capitolina”.
Confermando, quindi, la validità dell’intero impianto investigativo del Gico, il Tribunale Ordinario di Roma riconoscendo come “socialmente pericoloso” il profilo soggettivo dell’imprenditore e, allo stesso tempo, validando la pericolosità del patrimonio allo stesso riconducibile, in aderenza alle determinazioni assunte dalla Suprema Corte di Cassazione, con decreto del settembre 2015 (di rigetto del ricorso proposto dalle parti) ha oggi disposto la confisca definitiva del patrimonio societario, mobiliare ed immobiliare di Capano.