Omicidio Sacko: il presunto killer resta in carcere
Antonio Pontoriero si rifiutò di soccorrere Soumalya Sacko, il 29enne sindacalista maliano colpito da un colpo di fucile alla testa nell’area dell’ex fornace di San Calogero e morto sabato sera all’ospedale di Reggio Calabria dopo parecchie ore di agonia. È quanto emerge dal decreto di fermo eseguito dai carabinieri del Comando provinciale di Vibo Valentia nei confronti del 43enne di San Calogero. Ad incastrare l’agricoltore, difeso dall’avvocato Francesco Muzzopappa, sono soprattutto le dichiarazioni fornite agli inquirenti dai due migranti che erano con Sacko in quelle drammatiche ore.
I FATTI | Tutto ha inizio intorno alle 19 di un sabato festivo. È il giorno della festa della Repubblica e alla Tenenza dei carabinieri di Rosarno si presenta un cittadino extracomunitario Madou Foune Fofanà. È agitato e riferisce ai militari di essere presi a fucilate mentre insieme ad un altri suoi amici erano intenti a “prelevare” delle lamiere di ferro da una fabbrica abbandonata lungo la statale 18 verso Nicotera. Un colpo d’arma da fuoco in particolare feriva uno dei suoi amici.
Immediatamente veniva localizzata la fabbrica in questione descritta da Madou e alle 19.35 i militari arrivavano sul posto dove trovavano un altro extracomunitario identificato di Madhieri Drame. Era quest’ultimo a condurre i carabinieri verso il luogo dove si trovava il migrante ferito, ovvero Soumalya Sacko. Era disteso in una pozza di sangue ed in agonia, respirava affannosamente e muoveva le braccia come per richiamare aiuto lamentandosi per il dolore. Si procedeva così ad allertare il 118 che giungeva sul posto alle 19.55. Vista l’impossibilità di far intervenire l’elisoccorso, Sacko veniva quindi trasferito in ambulanza all’ospedale di Reggio Calabria dove moriva alle 22.15 a causa delle ferite riportate.
I due migranti sfuggiti ai colpi di fucile sparati da un collinetta sovrastante la fabbrica raccontano ai carabinieri tutti i particolari dell’azione di fuoco. Drame, che parla fluentemente la lingua italiana, è preciso e dettagliato nel descrivere la dinamica degli eventi. Raccontano di essersi recato in località “Tranquilla” unitamente a Sacko per “recuperare” le lamiere dei tetti del capannone abbandonato per poi impiegarli nella costruzione di alcune baracche nella tendopoli di San Ferdinando.
Una volta all’interno della fabbrica vengono all’improvviso attinti da alcuni colpi d’arma da fuoco esplosi da un fucile imbracciato da un soggetto di carnagione chiara situato su un’altura che sovrasta l’area, ad una distanza di circa 70-80 metri. I tre vengono attinti da alcuni pallini tipici delle cartucce utilizzate dai cacciatori senza tuttavia riportare alcuna ferita, tanto meno danni ai vestiti. Cercano riparo, ma Sacko nel tentativo di fuggire transita dinanzi ad un varco presente tra due mura venendo colpito alla testa e crollando immediatamente al suolo.
Per gli inquirenti sono di estrema importanza le dichiarazioni rilasciate da Drame, testimone oculare di quanto accaduto nell’ex fabbrica di laterizi. “Oggi – racconta nelle ore successive all’agguato – non ho lavorato per cui verso le 15, unitamente ad alcuni miei connazionali, ci siamo portanti presso località Tranquilla di San Calogero all’interno dello stabilimento dismesso detto “La Fornace Tranquilla”, al fine di prelevare alcuni pannelli-lamiere di copertura inutilizzati ed abbandonanti che a noi sarebbero serviti per sistemare la nostra dimora nella tendopoli.
Nel mentre eravamo intenti ad eseguire dette operazioni e, precisamente, mentre io e Sacko eravamo sul tetto della struttura attenti a smontare alcuni pannelli, udivo un colpo di fucile che ci allarmava e ci faceva subito scendere dal tetto. Avendo percepito da quale direzione proveniva il colpo, ho notato un uomo a distanza, in posizione sopraelevata, che ci osservava da seduto puntandoci il fucile contro. Io avvertivo subito il mio amico Sacko in modo che ci potessimo riparare dall’esplosione di ulteriori colpi. Mentre io comunicavo con Sacko, un altro colpo di fucile lo colpiva alla testa e lo faceva cadere per terra procurandogli la perdita di sangue”.
“L’uomo con il fucile ci sparava addosso”. Il drammatico racconto di Drame prosegue: “Io riuscivo precipitosamente a ripararmi dietro ad un muro al fine di evitare di essere attinto. Nel fare ciò notavo che l’uomo che puntava il fucile si spostava al fine di avere una migliore visuale della mia sagoma e quindi per cercare di spararmi contro. Nel frattempo l’altro mio connazionale Fofana stava trasportando alcuni pannelli verso l’uscita dello stabilimento. Nel compiere tali operazioni anche lui veniva attinto da colpi di fucile che fortunatamente non gli provocano alcun danno fisico in quanto riparato dai pannelli.
Nel frattempo l’uomo con il fucile continuava nella sua ricerca di me e Fofana al fine di spararci contro; io notandolo da lontano uscivo dal mio riparo per cercare un migliore rifugio, ma nel fare ciò l’uomo intravedeva la mia sagoma e mi sparava addosso colpendomi alla gamba destra. La fucilata non mi provocava alcun danno fisico perché la distanza era elevata in quanto l’uomo sparava con un fucile verosimilmente con cartucce a pallini. Notando che non desisteva mi davo a precipitosa fuga verso la strada principale e guardando in direzione del posto in cui si trovava l’uomo riuscivo a notare un’autovettura di colore bianco marca Fiat Panda, vecchio modello, autovettura che l’uomo utilizzava poi per allontanarsi dal luogo in cui si trovava”.
Drame chiede quindi aiuto a due extracomunitari che si trovavano in casolare nelle adiacenza del posto da dove sono partite le fucilate. “Non appena giunto – osserva il migrante – notavo l’uomo che aveva sparato e che pensavo si fosse allontanato con la Fiat Panda che invece era ancora nello stesso luogo in cui si trovava prima. Lo stesso, notando che io stavo parlando con uno dei due extracomunitari che abitavano lì, si intrometteva dialogando con quello con cui mi stavo relazionando. Nella circostanza mi accorgevo che tale uomo indossava gli stessi indumenti di colui che aveva poco prima sparato. Per cui ho pensato subito che era stato certamente lui a sparare.
Poiché era mia intenzione soccorrere il mio amico Sacko e per timore che quell’uomo potesse ancora una volta esplodere dei colpi nei miei confronti, gli chiedevo il permesso di avvicinarmi al mio amico ferito per soccorrerlo. L’uomo mi diceva, alzando le mani, che lui non avrebbe fatto niente e alla mia richiesta di prestare il suo aiuto per portare la persona in ospedale, lo stesso si rifiutava dicendo che non ne voleva sapere niente. Dopo di che l’uomo saliva a bordo della sua auto per allontanarsi definitivamente da quel luogo in direzione Vibo”.