Pax mafiosa a Cosenza dopo omicidio Marincolo. Risolto fatto di sangue dopo 14 anni
La Dia di Catanzaro ha fatto luce sull’omicidio di Francesco Marincolo, uomo dei clan cosentini, ucciso il 28 luglio del 2004 a Cosenza, di primo mattino.
Per l’omicidio, commesso 14 anni fa, sono state eseguite quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Catanzaro, su richiesta della Procura Distrettuale: si tratta di Giovanni Abruzzese, 59enne; Carlo Lamanna, 51enne; Mario Attanasio, 46enne e Umile Miceli, 52enne; tutti ritenuti inseriti nella criminalità mafiosa cosentina (LEGGI).
I destinatari sono dunque ritenuti, a vario titolo, responsabili dell’omicidio di Marincolo, killer del gruppo Ruà-Lanzino, e del contestuale tentato omicidio di Adriano Moretti; ultimo atto della sanguinosa guerra di mafia combattuta nel capoluogo bruzio tra il 1999 ed il 2000 fra i contrapposti clan Lanzino-Cicero ed il gruppo dei Bruni “Bella bella”.
La tesi degli inquirenti è che con questo assassinio i gruppi criminali bruzi avrebbero raggiunto una pax mafiosa che prevedeva un patto di non belligeranza e la spartizione equa, tra loro, dei proventi delle varie attività illecite.
Le ricostruzioni investigative, confermate dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, avrebbero portato a ritenere che a sparare i colpi mortali contro Marincolo, che al momento dell’agguato era a bordo della propria auto, sarebbe stato Michele Bruni, dopo aver affiancato la vettura della vittima con una moto guidata da Carlo Lamanna e risultata poi rubata alcuni giorni prima sul lungomare di Paola.
Sull’auto di Marincolo, si trovava per caso anche Adriano Moretti, che fu ferito da alcuni colpi di arma da fuoco. Tuttavia dalle indagini emergerebbe che non sarebbe stato un obiettivo dei killer, anche se cognato del noto boss Gianfranco Ruà.
Le indagini condotte dalla Sezione Dia di Catanzaro, sotto la direzione della Procura cosentina, avrebbero quindi consentito di individuare i presunti mandanti, esecutori e fiancheggiatori dell’omicidio, compiuto in via Lanzino del capoluogo.
Sarebbe stato scoperto anche il movente, ritracciabile oltre che nella volontà di affermare la supremazia criminale della cosca di appartenenza, nella vendetta attuata da Michele Bruni contro i clan avversi (con Marincolo che era l’unico elemento di spicco non detenuto) considerati come i responsabili, tra gli altri, dell’omicidio del padre Francesco, avvenuto nel luglio 1999, e dell’omicidio di Antonio Sena, nel maggio del 2000.
L’attività della Polizia, corroborata dalle dichiarazioni dei primi collaboratori di giustizia, avrebbe quindi permesso di individuare gli esecutori dell’omicidio di Marincolo e, successivamente, per mezzo di altre indagini, supportate dalle dichiarazioni di altri e più recenti collaboratori, sarebbe stata completata con ulteriori elementi, evidenziati a carico degli indagati.
Sui ruoli di ciascun destinatario, i risultati delle indagini e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, individuerebbero concordemente il defunto Michele Bruni, insieme a Carlo Lamanna, come gli esecutori materiali, Giovanni Abruzzese come partecipe alla fase deliberativa dell’omicidio, proprio in ragione dell’alleanza fra il clan Bruni “Bella bella” e quello degli “Zingari”.
Umile Miceli avrebbe invece avuto con il compito di studiare le abitudini della vittima e fatto da palo o “specchietto” mentre Mario Attanasio avrebbe fornito un appoggio logistico sia nelle fasi precedenti che in quelle successive all’agguato.
L’operazione della Dia si colloca in una più ampia strategia investigativa, avviata da tempo, per far luce su una serie di omicidi verificatisi a Cosenza, e ha consentito, con le varie operazioni “Terminator” (quattro in tutto), di ricostruire numerosi fatti di sangue, riconducibili all’allora gruppo confederato Cicero-Lanzio, a distanza di anni dai fatti, con la valorizzazione delle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, preliminarmente e minuziosamente riscontrate con le risultanze di attività investigative.