Sgominata la Locale di Roccabernarda: con furticelli e animali ammazzati soggiogava il paese
Luce su un omicidio di quattro anni fa. Undici persone finite in carcere, quindici in tutto quelle indagate, di cui quattro a piede libero.
I reati contestati a vario titolo sono quelli di associazione mafiosa, omicidio, tentato omicidio, detenzione e porto illegale di armi, ricettazione, danneggiamenti, furti, uccisioni di animali, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e l’abuso d’ufficio. Tutti aggravati dal metodo mafioso.
LE INTIMIDAZIONI E LO STATO DI ASSOGGETTAMENTO
Le investigazioni, eseguite dai militari del Nucleo Operativo petilino, in un anno, esattamente dal maggio del 2014 allo stesso mese del 2015, avrebbero permesso di confermare come a Roccabernarda esistesse una Locale di ‘ndrangheta “impegnata” in particolare in furti e uccisioni di animali d’allevamento e da cortile, ma anche in danneggiamenti aggravati alle colture, a veicoli, a sistemi irrigui, a mezzi meccanici, oltre che alle estorsioni.
Nella maggior parte dei casi le vittime, intimidite, e ovviamente spaventate, avrebbero anche evitato di sporgere denuncia per i torti subiti.
Secondo gli inquirenti il tutto aveva lo scopo di raggiungere uno stato di assoggettamento della popolazione locale, con un “atteggiamento prevaricatore”: così si sarebbe riusciti a controllare e sfruttare quelle poche risorse economiche di cui dispone la zona.
I PICCOLI FURTI PER METTERE “SOTTO PRESSIONE” IL PAESE
Gli investigatori, poi, sottolineano come in un piccolo centro come quello di Roccabernarda, l’influenza di un’organizzazione ‘ndranghetistica venga esercitata non tanto e solo attraverso atti eclatanti, ma anche e soprattutto con condotte apparentemente veniali (come ad esempio il furto di ortaggi e verdure): elementi che avrebbero però la capacità di mettere sotto pressione la comunità cittadina, soggiogandola ai voleri della cosca.
L’OMICIDIO PER IMPORSI AL VERTICE DELLA CRIMINALITÀ LOCALE
Alla fine, dunque, gli inquirenti ritengono di aver individuato i componenti della Locale, composta dai 15 indagati. La tesi è che al vertice vi si sarebbe imposto Antonio Santo Bagnato, che è considerato l’ideatore dell’omicidio di Castiglione, il cui assassinio gli sarebbe stato utile per affermarsi sul territorio come capo dell’organizzazione criminale a discapito proprio della famiglia Castiglione.
Inoltre, si sarebbero scoperti e ricostruiti numerosi reati contro il patrimonio commessi dai presunti appartenenti al sodalizio, ma sempre con il benestare o per volontà di Bagnato.
LA STALLA DEL BOSS E I “FAVORI” DEI FUNZIONARI COMUNALI
Sotto la lente degli investigatori, poi, alcuni reati che vengono ascritti a funzionari dell’Ufficio Tecnico del Comune di Roccabernarda per favorire l’organizzazione nella realizzazione di opere edilizie abusive.
Nel caso ricostruito dai carabinieri di Petilia Policastro, viene evidenziato l’atteggiamento tenuto dell’ufficio tecnico che avrebbe rilasciato un permesso di costruire violando la legge, cosa che non avrebbe solo favorito Antonio Santo Bagnato, ma ha allo stesso tempo avrebbe rafforzato il “prestigio” dell’organizzazione.
Secondo gli investigatori, infatti, la condotta tenuta dai due pubblici ufficiali, impedendo cioè che il presunto “capo” locale venisse bloccato nella realizzazione di un manufatto in cemento armato e di una stalla, prendendo immediatamente dei provvedimenti e consentendone il dissequestro, avrebbe dato “l’ennesima conferma all’esterno” della soggezione alla cosca di tutta la comunità.
GLI ARRESTATI
Le undici persone finite in carcere sono tutte di Roccabernarda. Si tratta di: Antonio Santo Bagnato, 50 anni; Gianluca Lonetto, 34; Antonio Marrazzo, 53; Antonio Cianflone, 46; Domenico Iacquinta, 36; Mario Riccio, 68; Giuseppe Bagnato, 31; Michele Marrazzo, 33; Emanuele Valenti Carcea, 33; Maurizio Bilotta, 35; Salvatore Aprigliano, 35.