Le cosche tra nuovi equilibri e nuovi assetti: scacco ai clan del crotonese, 23 arresti

Crotone Cronaca

Un asse “criminale nel crotonese, localizzato nel perimetro geografico compreso tra i comuni di Isola Capo Rizzuto e Petilia Policastro e la frazione del capoluogo di Papanice.

Aree in cui la ‘ndrangheta da decenni mantiene il suo incontrastato dominio, con le cosiddette locali di Isola di Capo Rizzuto, quella appunto di Petilia e la cosca dei Megna.

Nomi di famiglie note alle cronache giudiziarie: Grande Aracri, Arena, Nicoscia, Megna, Manfredi, Gentile, eccetera, legate da un unico filo denominatore: l’assoggettamento del territorio, tra forza imposta con le armi e omertà di una cittadinanza sottomessa dalla paura, in alcuni casi dalla connivenza.

UN DOMINIO mantenuto con ogni mezzo: omicidi, estorsioni, danneggiamenti, uso di armi, traffico di stupefacenti o acquisendo direttamente e indirettamente la gestione o comunque il controllo delle attività economiche, e - cosa ancor più sconcertante - allungando la mano sulla vita politica locale, facendo incetta di voti da consegnare a candidati alle elezioni “affini” agli interessi dei clan.

C’è tutto questo - e altro ancora - nell’inchiesta della Dda di Catanzaro - denominata Tisifone - che oggi ha fatto scattare le manette ai polsi di 23 persone, tra capi e gregari delle più potenti cosche della provincia pitagorica (LEGGI).

L’indagine ha permesso di entrare nel cuore del territorio isolitano disvelando nuove alleanze, nuovi equilibri che si sono venuti a creare o che si stavano creando all’interno del comprensorio, ma soprattutto avrebbe fatto emergere le nuove tensioni che, dopo i numerosi arresti eseguiti nel tempo, stavano venendo fuori per imporre il potere nella cittadina (QUI LE INTERVISTE AGLI INVESTIGATORI).

In particolare due i fronti contrapposti, da un lato i Capicchiano, con a capo Salvatore Capicchiano, desiderosi di affermare il loro monopolio nella gestione del settore delle gioco illegale (con l’imposizione e la gestione delle loro slot machine in diversi bar ed esercizi commerciali), dall’altro i Nicoscia con al vertice Antonio Nicoscia, figlio di Pasquale detto “Macchietta”; i Manfredi e i Gentile non concordi su questa esclusività e sulla ascesa totalizzante e non condivisa dei Capicchiano.

La conseguenza è stata un’escalation di violenza che ha visto entrambe le parti contrapposte, in diverse occasioni ipotizzare e pianificare omicidi ai danni della fazione opposta, sventati dall’intervento della polizia.

Tra le figure di spicco emergono così - e tra le altre - quella di Giovanni Greco, ritenuto al vertice della cosca isolitana; Antonio Sestito, considerato invece l’organizzatore del clan che - sempre ad Isola - fa capo alle famiglie Arena e Gentile.

E poi, Antonio Nicoscia, figlio appunto di Pasquale “macchietta”, assurto alla reggenza dell’omonimo clan dopo l’arresto dei suoi familiari: a lui si contesta addirittura l’organizzazione dell’omicidio di Salvatore Capicchiano, ritenuto a suo volta al vertice dell’omonimo clan e sospettato di aver partecipato all’agguato a colpi di bazooka, del 2004, in cui morì il boss Carmine Arena.

E così a seguire spuntano poi i nomi di Rosario Curcio e Tommasino Ierardi, ritenuti al vertice della cosca di Petilia Policastro, alleata ai Nicoscia. Curcio viene addirittura indicato come il “vecchio” che conoscerebbe anche le formule per celebrare il rito d’affiliazione alla ‘ndrangheta.

E Rocco Devona, ritenuto elemento di spicco della cosiddetta cosca dei “Papaniciari”, dall’omonima frazione crotonese, che per gli inquirenti sarebbe l’uomo di fiducia del boss Mico Megna.

Ci fermiamo qui con i nomi, l’elenco è lungo tanto quanto i reati cointestati, in una profilazione dettagliata messa giù dai magistrati della Distrettuale Antimafia di Catanzaro.

L’OPERAZIONE JONNY E LE FIBRILLAZIONI TRA I CLAN ISOLITANI

Le indagini che hanno portato al blitz di stamani – eseguito dalla squadra mobile crotonese – assommano diverse risultanze investigative concentrantesi sulle dinamiche criminali che hanno interessato la locale di Isola Capo Rizzuto subito dopo le recenti inchieste giudiziarie, prima fra tutte l’operazione Jonny (LEGGI).

Secondo gli inquirenti, in pratica, vi sarebbe stata “una nuova contrapposizione”, più precisamente “una fibrillazione continua tra le diverse famiglie di ‘ndrangheta” isolitane, che avrebbero portato ad una recrudescenza del fenomeno mafioso.

Un elemento questo che sarebbe confermato dalla scoperta da parte degli investigatori di diversi piani per mettere in atto degli omicidi, in particolare di Luigi Manfredi, Antonio Sestito e da ultimo di Salvatore Capicchiano, ma anche dai numerosi riti di affiliazione effettuati e che testimonierebbero “un rapido e inesorabile ricambio generazionale”, dovuto appunto agli arresti della vecchia nomenclatura mafiosa, proprio a seguito di recenti operazioni di polizia.

DALLE FAIDE ALLA PAX MAFIOSA TRA LE FAMIGLIE LOCALI

Il territorio di Isola di Capo Rizzuto - spiegano ancora gli investigatori - è stato da sempre teatro di numerose faide e contrapposizioni tra le diverse famiglie mafiose: gli Arena/Maesano, Arena/Nicoscia-Manfredi in uno con l’emersione di altre famiglie come i Pullano e i Capicchiano.

Contrapposizioni che avrebbero portato all’uccisione di diversi esponenti di vertice delle stesse famiglie: elemento caratterizzante del territorio isolitano, quasi una “peculiarietà” di questa “locale” nel panorama delle cosche crotonesi.

Nella recente operazione “Jonny” tutte queste contrapposizioni sono state evidenziate dagli inquirenti che hanno anche scoperto una cosiddetta pace mafiosa che sarebbe stata siglata fra gli esponenti delle stesse famiglie, “in vista di una migliore ed ordinata gestione delle attività economiche lecite ed illecite nel territorio”.

Le prove acquisite nel procedimento “Jonny” riecheggerebbero con quelle incentrate sul locale di Cutro, diretto da Nicolino Grande Aracri.

In questo procedimento gli inquirenti hanno analizzato la proiezione verticistica del locale cutrese rispetto alle altre, tra cui quella isolitana, intercettando diversi summit di ‘ndrangheta fra il capocosca cutrese e i rappresentanti delle diverse famiglie di Isola.

Anche in questa operazione giudiziaria si è posto l’accento sulla “pace” fra i clan che compongono il “locale” di Isola Capo Rizzuto: una pace che sarebbe stata suggerita e caldeggiata dalle altre consorterie crotonesi proprio per motivi di convenienza economica di facile intuizione.

Prima della Jonny, che in pratica ha disarticolazione la locale di Isola, la gestione e l’implementazione della cosiddettabacinella (una sorta di cassa comune) sarebbe stata florida e capace di suggellare la pace fra le diverse famiglie.

Soprattutto, la gestione del flusso economico (per svariati milioni di euro) inerente i diversi appalti destinati all’assistenza dei migranti - per il tramite della presunta gestione mafiosa del Cara di Isola di Capo Rizzuto (LEGGI) – avrebbe portato ad una spartizione degli utili "funzionale al sostentamento" dei clan locali.

LA “BACINELLA” SVUOTATA DALL’OPERAZIONE JONNY

Inoltre, la fruizione ed il controllo (“secondo un piano concordato”) del settore dei giochi di azzardo sul territorio, tramite la conduzione di imprese di gaming da parte di alcuni esponenti del clan - in rapporto di vicinanza all’una o all’famiglia di ‘ndrangheta – avrebbe garantito il sostentamento delle famiglie così da pacificare i vecchi contrasti.

Disarticolata così la cosca negli assetti attuali e sequestrate le diverse imprese e strutture che garantivano l’afflusso di denaro nella “bacinella”, anche i presupposti per il mantenimento della pace avrebbero iniziato a cedere.

Una circostanza che viene evidenziata dagli investigatori in questo nuovo procedimento, proprio perché si ricollegherebbe ad alcuni progetti omicidiari, già in fase di pianificazione.

Evidenze che hanno portato a chiedere la misura pre-cautelare eseguita oggi e ad intensificare i controlli sul territorio arrivando a ritrovare e sequestrare ben due autovetture rubate e che sarebbero state procurate dagli indagati per eseguire il delitto.

A corredo della tesi su questa strategia attuata dai nuovi adepti del clan di Isola Capo Rizzuto, gli inquirenti hanno a disposizione delle conversazioni intercettate in cui si è scoperta un'ampia disponibilità di armi da parte della compagine, fatto confermato anche dal ritrovamento di un fucile perfettamente funzionante e pronto all’uso, che era all’interno di una delle due auto recuperate.

Tra l’altro un contributo importante alle indagini lo fornirebbero alcuni dialoghi ambientali "autoaccusatori", provenienti da fonti autorevoli dell’organizzazione, che avrebbero arricchito il patrimonio di conoscenza sull’articolato fenomeno mafioso dell’area crotonese.

Per esempio, nel corso di una di queste conversazione intercettate a carico di Salvatore Capicchiano, elemento di vertice della nuova compagine isolitana, questi svelerebbe dei nuovi particolari sulle “doti” di ‘ndrangheta inserite nella cala gerarchica mafiosa, e confiderebbe al cugino, Orlando Capicchiano, di essere ad un passo (ovvero “un gradino”) da quella di “mammasantissima”: dote detenuta da pochi eletti.

A ciò si aggiungerebbero altre e numerose intercettazioni, con diversi particolari, sulla celebrazione di riti di affiliazione di nuovi adepti, sulla disponibilità di armi di entrambe le fazioni contrapposte; sul supporto logistico e di uomini fornito dalla cosca di Petilia Policastro alla famiglia Nicoscia; confessioni “stragiudiziali” riguardanti anche gravi fatti di sangue.

Gli investigatori, insomma, ritengono di aver collezionato un quadro indiziariograve” e che soprattutto porterebbe ad un attuale pericolo di recrudescenza del fenomeno mafioso in quell’area.

GLI INDAGATI

Sono 23 in tutto i soggetti coinvolti nell’operazione e raggiunti dalla misure. Si tratta di Salvatore Arena (1991) di Isola di Capo Rizzuto; Brook Asrat Seyoum (1987), Etiope residente ad Isola; Gianfranco Calabretta (1987), di Isola; Antonio Capicchiano (1977), di Isola; Orlando Capicchiano (1993) di Isola; Salvatore Capicchiano, detto Porcedduzzu (1975) di Isola; Cesare Carvelli (1985) di Crotone.

Rosario Curcio, detto Pilirusso (1960) di Petilia Policastro; Rocco Devona, detto Fettina (1984) di Crotone; Antonio Gentile (1968) di Isola; Giuseppe Gentile, detto Pepè (1974) di Isola; Alessandro Giardino (1998) di Isola; Tommasino Ierardi (1977) di Petilia Policastro; Antonio Lentini (1999) di Isola; Francesco Macrillò (1993) di Isola.

Antonio Manfredi (1999) di Isola; Luigi Manfredi (1997) di Isola; Giovanni Muccari (1988) di Isola; Antonio Nicoscia, detto Macchietta o Mulinello, (1977) di Isola; Antonio Nicoscia (1987) di Isola; Santo Claudio Papaleo (1988) di Isola; Carmine Serapide (1987) di Isola e Antonio Sestito (1978) di Isola.

Gli arrestati sono stati eseguiti su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, in particolare del Procuratore Nicola Gratteri, dell’Aggiunto Vincenzo Luberto e dei Sostituti Paolo Sirleo e Domenico Guarascio Le indagini sono state condotte dalla Squadra Mobile di Crotone e dagli investigatori del Servizio Centrale Operativo.