Luce sull’omicidio Ruffolo. Usuraio senza il permesso del clan: un “torto” costatogli la vita
Ci sono voluti otto anni per stringere il cerchio sull’assassinio di Giuseppe Ruffolo, ammazzato nella sera del 22 settembre nel 2011 in pieno centro a Cosenza (LEGGI).
Oggi, almeno secondo gli inquirenti, è arrivata la svolta: due le persone arrestate e ritenute rispettivamente l’uno il mandante e l’altro l’esecutore materiale del delitto (LEGGI).
Si tratta, nel fattispecie, di Roberto Porcaro, 35enne di Cosenza, considerato appunto come colui che ne abbia ordinato l’omicidio, e di Massimiliano D’Elia, 33enne di Carolei, che si ritiene invece abbia fatto fuoco contro la vittima.
Entrambi, stamani, sono finiti in carcere, al termine delle investigazione condotte dalle squadre mobili bruzia e catanzarese e dallo Sco, che hanno potuto ottenere contributi importanti ai fini investigativi dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.
Secondo la tesi degli inquirenti, Porcaro, che è considerato uno dei massimi esponenti della cosca Lanzino-Patitucci, egemone nel capoluogo Bruzio, avrebbe deciso di far ammazzare Ruffolo per la sua attività usuraia, effettuata senza l’autorizzazione dello stesso clan, e anche poiché non avrebbe fatto arrivare nemmeno dei guadagni illeciti nella cosiddetta “bacinella” dell’organizzazione criminale a cui apparteneva.
L’azione di fuoco - sempre in base alle indagini - sarebbe stata invece portata a termine da D’Elia: quella sera di settembre del 2011, sarebbe stato lui infatti ad affiancare con uno scooter l’auto, un’Alfa Romeo Giulietta, su cui era alla guida Ruffolo, all’inizio di via degli Stadi di Cosenza, esplodendogli contro almeno sei colpi che lo ferirono gravemente facendolo giungere cadavere nell’ospedale del capoluogo.
Dopo le formalità di rito Porcaro e D’Elia - tutti e due con numerosi precedenti di polizia - sono stati associati alla casa circondariale locale.
Le investigazioni svolte dalla polizia per arrivare ai presunti responsabili dell’assassinio, sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri.
Le accuse contestate sono di omicidio, aggravato dal metodo e dall’agevolazione dell’associazione mafiosa, e di porto illegale di armi.