Estorsione in agricoltura. Maxi sequestro e 9 avvisi di garanzia: conclusa l’operazione “Spartaco”
Giunge al capolinea l’operazione denominata “Spartaco” (LEGGI). La Guardia di Finanza di Lamezia Terme ha infatti chiuso il cerchio oggi con l’esecuzione di un sequestro preventivo di beni per 423 mila euro - emesso dal Gip del Tribunale locale su richiesta della Procura - nei confronti di due imprenditori agricoli e S.A., di 50 anni, e il presidente di Confagricoltura Calabria, Alberto Statti, 52 anni, oltre ad altri sette soggetti. Agli indagati sono stati anche notificati degli avvisi di garanzia per il reato di estorsione.
L’attività di oggi arriva come evoluzione delle indagini che, nel giugno del 2017, avevano già portato ad altri provvedimenti cautelari a carico di Statti (LEGGI), poi annullati dal Tribunale della Libertà di Catanzaro con un’ordinanza successivamente cassata dalla Suprema Corte su ricorso proposto dalla Procura della repubblica.
Per i fatti afferenti a quel procedimento penale, in cui è imputato per una estorsione commessa ai danni di 23 dei suoi dipendenti, era stato già chiesto il rinvio a giudizio.
Secondo quanto appurato ancora dalla Guardia di Finanza, i due imprenditori agricoli si sarebbero resi responsabili nel tempo di estorsioni nei confronti di altri 14 dipendenti e, in accordo con altri indagati e con l’aiuto di altri, di una serie di azioni volte ad inquinare le prove esistenti, ragion per cui sono stati sottoposti ad indagine anche due avvocati del foro lametino e la segretaria degli stessi imprenditori, Maria Costanzo, 57 anni, addetta alle assunzioni e ai pagamenti nella stessa cooperativa agricola.
LE FALSE CONCILIAZIONI COI DIPENDENTI
In particolare, sarebbe stato riscontrato che nel momento in cui la Gdf iniziava ad assumere informazioni dai dipendenti dell’azienda agricola da loro gestita, Statti - venuto a conoscenza delle dichiarazioni che erano state rese, oltremodo indizianti per la sua persona - avrebbe fatto sottoscrivere ai dipendenti degli atti di conciliazione a mezzo dei quali questi ultimi attestavano di voler rinunciare ad ogni legittima pretesa verso il datore di lavoro maturata nell’intero arco temporale del rapporto, accettando delle somme esigue che l’imprenditore gli avrebbe riconosciuto come asseriti emolumenti dovuti e non pagati in precedenza.
Le condizioni accettate dai lavoratori, formalmente riportate nei processi verbali di conciliazione, - fa sapere la Guardia di Finanza - sono apparse sin da subito oltremodo vessatorie per gli stessi e molto favorevoli per il datore di lavoro, in relazione a quanto emerso dalle indagini, ed sarebbe evidente che si trattasse di “accordi proposti evidentemente dallo stesso datore … privi dell’indicazione chiara della res litigiosa nonché di determinatezza dell’oggetto”.
Tra l’altro, se lo avessero scritto, avrebbero provato documentalmente il reato, auto incolpandosi del delitto di estorsione.
Le attività investigative condotte dalle fiamme gialle lametine avrebbero fatto emergere come gli atti di conciliazione fossero intervenuti proprio su iniziativa del datore di lavoro, e come i dipendenti non avessero avuto contezza del reale contenuto degli stessi.
Agli indagati è stato inoltre contestato il reato di autoriciclaggio e anche ravvisata la responsabilità penale in capo all’azienda agricola da loro gestita.
Per questo, in esito al quadro indiziario, la Procura ha chiesto e ottenuto dal Gip il sequestro di beni fino al valore di 835 mila euro, ritenuti l’illecito profitto derivante dalle attività estorsive e di autoriciclaggio.
Il vincolo interessa sia le persone fisiche, sia l’ente societario in quanto destinatario del profitto del presunto reato, ai sensi della recente giurisprudenza della Cassazione sul punto.