Omicidio Ielo. Al boss non si può dire no, ammazzato per salvare l’onore del clan

Reggio Calabria Cronaca

A un boss della ‘ndrangheta, non si può dire no! Non ci si può mettere di traverso, altrimenti si rischia la vita e, soprattutto, si mina l’aurea di “potere che la stessa criminalità esercita su un territorio. E, magari, se poi non si punisce pesantemente” chi non soggiaccia a questo “sistema”, si potrebbe addirittura creare un qualche precedente.

In sintesi è per questo che un semplice tabaccaio, all’epoca 66enne, sarebbe stato ammazzato. Con un delitto che gli inquirenti non hanno remore a definire efferato ma, soprattutto, simbolico”. Doveva dunque dare un esempio.

A cadere vittima, una sera di maggio del 2017, Bruno Ielo. I killer lo seguirono mentre tornava a casa, a Campana, col suo scooter. Alla fine di una giornata di lavoro e davanti agli occhi della figlia, qualcuno lo avvicinò e gli sparò con una 7.65 colpendolo mortalmente (QUI).

Gli investigatori sostengono oggi, all’esito dell’inchiesta, che il commerciante sia stato giustiziato brutalmente, in un crescendo di atti intimidatori che avrebbero avuto lo scopo di convincerlo a chiudere la sua tabaccheria con annessa ricevitoria della Lottomatica o, comunque, a limitarne il volume d’affari.

Una morte decisa, insomma, perché non si sarebbe piegato alle pretese avanzate dal suo presunto carnefice, Francesco Polimeni, ritenuto elemento di spicco della cosca dei Tegano e a sua volta gestore di uno stesso esercizio commerciale, intestato alla figlia.

Stamani sia Polimeni (55 anni) che altre quattro persone sono così finite in carcere nell’ambito dell’operazione non a caso battezzata “Giù la testa” (QUI).

L’arresto gli è stato notificato nella Casa Circondariale di Prato, dove è attualmente detenuto, ed è ora accusato di omicidio premeditato, detenzione illegale e porto in luogo pubblico di armi, tentata estorsione, trasferimento fraudolento di valori e rapina, aggravati anche dal metodo e dall’agevolazione mafiosa.

GLI ARRESTATI

Contestualmente la mobile ha fatto scattare le manette per Francesco Mario Dattilo, nato a Reggio Calabria l’8 settembre del 1974, accusato anch’egli di omicidio premeditato, detenzione illegale e porto in luogo pubblico di armi, tentata estorsione, rapina, aggravati anche dal metodo e dall’agevolazione mafiosa; Cosimo Scaramozzino, nato a Reggio Calabria il 13 luglio del 1967, a cui si contesta l’omicidio premeditato, la detenzione illegale e porto in luogo pubblico di armi, la tentata estorsione, aggravati anche qui dal metodo e dall’agevolazione mafiosa; e Giuseppe Antonio Giaramita, nato a Castelvetrano (Trapani) il 15 giugno del 1963, attualmente sottoposto ai domiciliari nel capoluogo dello Stretto e ritenuto responsabile di tentata estorsione, rapina, detenzione e porto in luogo pubblico di armi aggravati anche dal metodo e dall’agevolazione mafiosa e tentato omicidio.

LA RICOSTRUZIONE DELL’ASSASSINIO

Le indagini, dunque, avrebbero chiarito la vicenda dell’omicidio del tabaccaio e ricostruitene le fasi. Tornando a quel giorno di maggio, allora Ielo stava percorrendo con il suo scooter via Nazionale, in direzione nord e per rientrare a casa, a Catona, preceduto di pochi metri dalla figlia Daniela, che era a bordo invece della sua autovettura.

Il killer - entrato in azione con uno scooter chiaro e col volto travisato da un casco integrale da motociclista - gli avrebbe esploso contro alcuni colpi con una pistola semiautomatica, una Beretta mod. 70, poi abbandonata sul luogo del delitto e risultata con la matricola abrasa. Uno dei proiettili colpì a morte la vittima alla nuca.

Gli investigatori sostengono che l’assassinio sia stato eseguito con le modalità e simbologie tipiche di un’esecuzione mafiosa in piena regola.

Durante il sopralluogo, infatti, emersero circostanze che, di fatto, fecero escludere che potesse trattarsi di una rapina finita in tragedia, in quanto vennero ritrovate addosso alla vittima diverse banconote e per migliaia di euro, ovvero l’incasso della giornata, e rispetto alle quali il killer si sarebbero mostrato indifferente, gettando poi l’arma e allontanandosi a grande velocità, subito dopo un’azione fulminea.

DALLA RAPINA ALLE PROVE “INCONTROVERTIBILI”

Ielo, poi, era già stato vittima di una rapina, l’8 novembre dell’anno prima, nel 2016, all’interno della sua rivendita di tabacchi in via Nazionale a Gallico, durante la quale fu ferito gravemente da un colpo di pistola che uno dei rapinatori gli esplose in faccia (QUI).

Le indagini sull’accaduto sono state supportate da numerose attività di intercettazione telefonica ed ambientale, da sofisticati sistemi a tecnologia avanzata in 3D, dall’acquisizione di filmati registrati da alcuni impianti di videosorveglianza privata, dagli esiti dell’analisi della documentazione contabile delle due rivendite di tabacchi sia della vittima che del presunto mandante dell’omicidio, oltre che dalle dichiarazioni delle persone informate sui fatti e di alcuni collaboratori di giustizia.

Tutto ciò avrebbe permesso di acquisire elementi considerati “incontrovertibili e di “particolare gravità indiziaria” a carico dei soggetti ritenuti aver fatto parte dell’omicidio e, dunque, sulle cause che lo avrebbero determinato.

Tutti elementi che la Squadra Mobile ha presentato all’Autorità Giudiziaria, in un quadro d’insieme che comprende gli esiti delle attività svolte anche sulla violenta rapina e sul tentato omicidio subìti dalla vittima sei mesi prima, all’interno della tabaccheria gestita assieme alla figlia.

L’OMICIDIO PER RISTABILIRE IL PRESTIGIO CRIMINALE

L’ipotesi, insomma, è che l’omicidio sarebbe stato eseguito materialmente da Francesco Mario Dattilo che avrebbe sparato contro Ielo due colpi di pistola calibro 7.65, e su ordine di Francesco Polimeni.

All’esecuzione avrebbe partecipato anche Cosimo Scaramozzino, ritenuto uomo di fiducia di Polimeni, che si sarebbe occupato di monitorare gli spostamenti della vittima e di pedinarla, rimanendo in stretto raccordo con l’esecutore.

Il delitto, ancora, avrebbe avuto una duplice finalità: quella di incrementare i profitti della rivendita di tabacchi di Polimeni, attraverso lo sviamento della clientela dell’attività di Ielo, e di eliminare fisicamente quest’ultimo che, con il suo attivismo commerciale, avrebbe determinato un mancato guadagno dell’azienda concorrente.

Inoltre, con il suo assassinio, si sarebbe ristabilito sul territorio il prestigio criminale – ovvero l’“onore- della cosca Tegano, a cui Ielo aveva osato resistere non “abbassando la testa” alle richieste estorsive che sarebbero state avanzate, con modalità mafiose, sempre da Polimeni.

IL CHIARO SEGNALE ALLA COMUNITÀ GALLICESE

Gli inquirenti affermano che “L’avere ucciso il tabaccaio che non si era piegato ai diktat della cosca, sparandogli sulla pubblica via, in modo plateale ed evidentemente punitivo, colpendolo al capo ed abbandonando deliberatamente l’arma accanto al cadavere, connotava la condotta delittuosa di una particolare simbologia mafiosa, trattandosi di un chiaro segnale rivolto all’intera comunità gallicese allo scopo di riaffermare la percezione del pregante vincolo associativo, la perdurante operatività della cosca, pronta a reprimere chiunque osasse metterne in discussione la potenza criminale”.

Alla luce della ricostruzione degli eventi, anche la rapina del 2016 sarebbe da ritenersi come un atto intimidatorio organizzato da Polimeni ed eseguito da Dattilo e Giaramita (quest’ultimo avrebbe sparato in faccia a Ielo) nell’ambito di un progetto criminale "di più ampio respiro", con finalità estorsive, diretto a far chiudere, ricorrendo ad atti di estrema violenza fisica, l’attività commerciale della vittima e per consentire al “concorrente” di guadagnare accaparrandosi così la clientela.

Una rapina, insomma, che sarebbe stata una vera e propria spedizione punitiva, portata a segno con modalità particolarmente cruente e con “violenza esuberante rispetto a quanto sarebbe stato necessario e sufficiente.

LA PISTA DELLA PISTOLA IL KILLER RIPRESO DALLE TELECAMERE

A collegare quella rapina all’omicidio in un unico disegno delittuoso, gli inquirenti sono arrivati monitorando non solo le azioni dei presunti esecutori materiali, analizzando le loro fattezze e movenze fisiche e il modo d’agire “piuttosto irruento” in occasione della rapina, ma anche altri elementi in comune, uno dei quali rilevato con delle avanzate tecnologie di Polizia Scientifica che dimostrerebbero come l’arma abbandonata sulla scena del crimine fosse dello stesso modello di quella impugnata durante la rapina, ovvero la Beretta cal. 7.65, tanto da far ritenere che per commettere l’omicidio di Ielo, Dattilo abbia utilizzato, con elevata probabilità, la stessa pistola.

Determinante ai fini dell’individuazione dei presunti mandante, esecutore materiale e degli altri soggetti concorrenti nelle fasi operative dell’assassinio e anche della rapina e tentato omicidio, è stata, ancora una volta, l’analisi integrata delle immagini acquisite dai diversi sistemi di video sorveglianza privata presenti nei pressi della tabaccheria e lungo le strade percorse da Ielo per rientrare a casa e dal killer che lo seguiva per tendere l’agguato.

In assenza di elementi fattuali e testimonianze che potessero condurre da subito alla soluzione del caso, la Sezione Omicidi della Squadra Mobile ha messo in campo un’imponente attività di acquisizione delle immagini.

L’accurata analisi di tutti i filmati acquisiti a seguito del delitto ha così permesso di ricostruire le fasi salienti dell’azione, a partire dall’individuazione del tabaccaio che veniva agganciato di sera, a fine lavoro, presso il suo esercizio commerciale - nel momento di avviarsi a casa con il motociclo - dal commando che sarebbe stato composto da Polimeni e Scaramozzino a bordo di una Fiat Panda rossa e dal presunto killer, Dattilo, in sella ad uno scooter, alternandosi ripetutamente nelle attività di pedinamento e di osservazione della vittima lungo tutto il tragitto, fino al luogo dell’esecuzione.

Ulteriori elementi acquisiti dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali, in combinazione con le risultanze ottenute dall’analisi dei filmanti delle telecamere, hanno portato a ricostruire, a vario titolo, i ruoli che avrebbero avuto Polimeni, Scaramozzino, Dattilo e Giaramita sia nell’assassinio che nella tentata estorsione finalizzata a fargli chiudere la tabaccheria, oltre che nella rapina e nel tentato omicidio subiti sei mesi prima.

A Polimeni viene anche contestato il reato di trasferimento fraudolento di valori, aggravato dalla circostanza del metodo e agevolazione mafiosa, in relazione all’intestazione fittizia della tabaccheria, oggi cessata per via dell’interdittiva antimafia, intestata alla figlia, ritenuta la titolare formale, nei confronti della quale si è proceduto a piede libero.

LE INDAGINI sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura Distrettuale di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa dal Gip del Tribunale locale su richiesta della stessa Dda.

L’inchiesta è stata condotta dalla Squadra Mobile del capoluogo, sotto le direttive dei Sostituti della Dda Stefano Musolino e Giovanni Gullo.

Le accuse contestate sono, a vario titolo, di omicidio premeditato, tentata estorsione, rapina e tentato omicidio, aggravati (ad eccezione del tentato omicidio) anche dalla circostanza del metodo mafioso e dall’avere agevolato la ‘ndrangheta unitaria, ovvero ed appunto la cosca Tegano.