Imprenditore vittima di estorsione a Nicotera, undici indagati

Vibo Valentia Cronaca

Un incubo durato otto anni: è quello vissuto da Carmine Zappia, l’imprenditore di Nicotera finito in un vorticoso giro di usura ed estorsione, “liberato” dai carabinieri nel luglio scorso al termine di un’indagine-lampo sfociata in un blitz nel corso del quale erano stati arrestati lo storico boss di Limbadi, Antonio Mancuso, 81 anni, esponente dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta, e il nipote, Alfonso Cicerone, 45 anni. Altre cinque persone, tutte di Nicotera, erano invece finite sul registro degli indagati (QUI).

A distanza di otto mesi esatti dall’operazione, scattata all’alba del 18 luglio dello scorso anno, la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che ha coordinato il lavoro svolto sul campo dai militari del Compagnia di Tropea, ha chiuso l’inchiesta e notificato l’avviso di conclusione indagine che riguarda adesso undici persone.

Oltre all’anziano boss Antonio Mancuso e al nipote Cicerone, nell’elenco ci sono: Giuseppe Cicerone, 89 anni di Nicotera; Salvatore Comerci, 35 anni di Nicotera; Salvatore Gurzì, 35 anni di Nicotera; Andrea Campisi, 38 anni di Nicotera; Rocco D’Amico, 39 anni di Nicotera; Gabriele Gallone, 19 anni di Nicotera; Francesco D’Ambrosio, 40 anni di Nicotera; Francesco Ivan D’Aloi, 20 anni di Nicotera; Giovanni Iermito, 23 anni di Comerconi (frazione di Nicotera).

Gli indagati devono rispondere, a vario titolo ed in concorso tra di loro, di usura, estorsione, trasferimento fraudolento di valori, furto. Reati aggravati dal metodo mafioso.

82enne, ritenuto esponente di spicco della cosiddetta “generazione degli 11” dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta egemone in provincia di Vibo Valentia, Mancuso, già condannato in via definitiva nel processo “Dinasty” per associazione mafiosa ed imputato nella Black Money(QUI) (ancora in corso dinnanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro), è oggi detenuto nel carcere di Secondigliano dopo essere stato arrestato nel blitz di 18 luglio.

Per i Carabinieri di Tropea sarebbe elemento apicale della consorteria ‘ndranghetistica operante nel territorio nicoterese, nonché il “fulcro” dell’attività investigativa che ha portato a fare luce su una estorsione perpetrata ai danni di un imprenditore di Nicotera.

Per gli inquirenti, nonostante l’età, avrebbe dunque continuato a gestire in prima persona gli affari illeciti di una parte della potente “famiglia”.

L’INDAGINE LAMPO

Nel maggio scorso, l’imprenditore nicoterese Carmine Zappia, vessato dalle pesanti richieste estorsive, aveva deciso di raccontare tutto agli inquirenti.

Da qui era partita un’indagine lampo: pedinamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali portati avanti dai Carabinieri di Tropea con la collaborazione dei colleghi della Stazione di Nicotera. In poche settimane gli investigatori avevano riscontato quanto sostenuto dalla vittima.

Una “odissea” che sarebbe iniziata otto anni prima, nel maggio del 2011, con l’acquisto di un immobile composto da due piani fuori terra a Nicotera e del valore di 400 mila euro.

Metà dell’importo sarebbe stato immediatamente consegnato mentre per la quota restante si sarebbero stabilite delle dazioni periodiche senza termini temporali.

I problemi per l’imprenditore sarebbero però iniziati subito dopo il perfezionamento della compravendita e il pagamento della prima parte. I venditori avrebbero iniziato ad avanzare, in maniera sempre più minatoria, richieste di consegna del denaro. Davanti alle risposte evasive del loro debitore si sarebbero quindi rivolti ad esponenti vicino ad Antonio Mancuso per avere quanto pattuito e recuperare il credito.

L’0INCUBO DELL’IMPRENDITORE

Un incubo destinato ad aggravarsi – sempre secondo la tesi degli inquirenti - con l’entrata in scena dell’anziano boss, temuto e rispettato. Quel credito sarebbe stato rilevato proprio da lui e all’imprenditore comunicato che le erogazioni di denaro sarebbero dovute finire nelle mani dello “Zio Antonio”, al secolo Antonio Mancuso.

A fare da intermediario delle minacce sarebbe stato proprio Alfonso Cicerone, il nipote del boss. La situazione sarebbe poi precipitata nel momento in cui la vittima avrebbe pattuito una cifra di cinquemila euro ogni trimestre, senza riuscire però a corrispondere il denaro.

Da qui ne sarebbero partite le minacce, sempre più esplicite, e con esse arrivava anche l’ordine di chiudere l’attività commerciale: “Non aprire la serranda che mi incazzo” avrebbe urlato con toni minacciosi Cicerone, consigliando alla vittima di chiedere un prestito usuraio a Mancuso per ripianare i debiti.

Le “pressioni”, insomma, sarebbero diventate insostenibili e le minacce sempre più costanti: “Hai preso per il culo mio zio Antonio! Entro domenica mi devi dare i soldi e martedì se non mi vuoi dare i soldi devi stare chiuso!” avrebbe intimato Cicerone, determinato secondo l’accusa a passare alle vie di fatto e a “pestare” la vittima.

Antonio Mancuso avrebbe poi preteso i cinquemila euro periodici quale affitto del locale (in realtà di proprietà della vittima della presunta estorsione) ma anche tassi di interesse del 10% mensile sull’insoluto.

Un incubo terminato con la denuncia ai Carabinieri che hanno registrato tutto e “liberato” il coraggioso imprenditore dalle perverse logiche della ‘ndrangheta.

I NUOVI INDAGATI

Nell’inchiesta finiscono, come dicevamo, anche nuovi indagati e, tra questi, anche Francesco Ivan D’Aloi, Giovanni Iermito e Gabriele Gallone. Secondo l’accusa si sarebbero impossessati di una telecamera utilizzata dai carabinieri della Compagnia di Tropea rimuovendola dall’area antistante una rivendita di tabacchi di Nicotera dov’era stata collocata nell’ambito dell’attività investigativa coordinata dalla Procura di Catanzaro.

Per questo motivo sono accusati di furto con l’aggravante di aver commesso il fatto con violenza sulle e di aver agito al fine di agevolare la cosca Mancuso.

Entro venti giorni dalla notifica dell’avviso di conclusioni indagini, ognuno degli indagati avrà adesso la facoltà di presentare memorie, produrre documenti o chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio assistito dal proprio avvocato. Gli indagati sono difesi dai legali Giuseppe Di Renzo, Francesco Capria, Antonio Barilari, Francesco Sabatino, Salvatore Campisi, Annamaria Modugno e Antonio Cosentino.