Nella ‘ndrangheta i boss non vanno in pensione: tra estorsioni, tangenti ed eventi “manovrati”

Vibo Valentia Cronaca

Le indagini dei carabinieri raccontano di un’odissea durata a lungo, per ben otto anni, e condita da notti insonni, paure, minacce e umiliazioni. Una vita da “ostaggio” della logica ‘ndranghetista - affermano gli investigatori - che oggi ritengono di aver scritto la parola fine a questa storia.

Nella notte appena trascorsa infatti i presunti aguzzini della vittima, un imprenditore vibonese finito in un vorticoso giro di usura ed estorsione, sono finiti in manette e si tratta in un caso di un nome “pesante” della zona, un boss storico di Limbadi, Antonio Mancuso, 81enne, esponente dell’omonima famiglia (LEGGI).

Insieme a lui, arrestato anche il nipote, Alfonso Cicerone, 45 anni, già noto alle forze dell’ordine. Altre cinque persone, tutte di Nicotera, sono invece indagate a piede libero.

La Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro - diretta dal Procuratore Nicola Gratteri - ha emesso nei confronti dei due un fermo in base a dei gravi indizi emersi nel corso dell’indagine e anche per il pericolo che potessero fuggire, ritenuto “fondatissimo”.

Tutti e sette gli indagati, devono ora rispondere e a vario titolo di usura ed estorsione in concorso aggravata dal metodo mafioso.

L’inchiesta - coordinata dal Sostituto Antimafia Antonio De Bernardo e condotta sul campo dai Carabinieri della Compagnia di Tropea – prende il via da un’attività investigativa iniziata nel maggio scorso con delle intercettazioni telefoniche e ambientali e dei pedinamenti.

L'incubo dell'imprenditore sarebbe iniziato nel lontano maggio del 2011: l’uomo acquistò un immobile, composto da due piani fuori terra a Nicotera, per la cifra di 400mila euro.

Metà dell’importo venne consegnato immediatamente mentre per la restante quota si stabilì che venisse erogata periodicamente, senza fissare dei termini temporali e quantitativi.

Perfezionata la compravendita e pagata la prima parte, gli ex proprietari avrebbero però iniziato ad avanzare in maniera sempre più minatoria e perentoria le richieste di consegna del denaro, fino ad arrivare a rivolgersi addirittura a persone vicine ad Antonio Mancuso, così che potessero incassare quanto pattuito.

Le richieste si sarebbe fatte sempre più pressanti fino a quando all’imprenditore non sarebbe stato comunicato che Antonio Mancuso aveva rilevato lui il credito e che i soldi avrebbero dovuti essere dunque corrisposti proprio a quest’ultimo.

LA MANO SUL TARANTA FESTIVAL

Secondo gli investigatori, poi, e sempre in base a quanto emerso nel corso della stessa indagine, la mano della cosca Mancuso avrebbe fatto pesare la sua presenza anche nell’organizzazione delle manifestazioni di un’associazione locale, la Nicotera Taranta Festival.

A fare la voce grossa sarebbe stato proprio il nipote del capo storico, Alfonso Cicerone, che non avrebbe esitato a rivolgersi ad Antonino Cupitò, legale rappresentante di quell’associazione per costringere gli organizzatori della manifestazione musicale a non rivolgersi a persone provenienti da Comerconi, che avrebbe addirittura minacciato di cacciare via con la forza e di percuoterli così da favorire i proprietari delle attività nella zona centrale della cittadina vibonese, tra cui anche lo stesso Cicerone che è l’amministratore del “Bar Plaza New”.

L’INTERCETTAZIONE

Sintomatica di questo “clima”, un conversazione intercettata dai militari:

“Ma fammi capire! ma la serata ve la state organizzando per voi altri e per i Comerconesi? … perché vi facciate i panini qua nella piazza? Noi dei Locali che facciamo!?…stiamo a guardare voi? Ragionate in questo modo voi, si!? oh Nino, non mi fare davvero che mi girino regolari … gli faccio prendere si quattro incl.le … che se ne vadano da qua … lo hai capito, Nino!? ora sembra a me che … avete alzato un poco la cresta … tutti quanti … appena arrivano questi di Comerconi, te li prendo a schiaffi”.

LA “TASSA” AGLI AMBULANTI

Per gli investigatori, poi, sempre Cicerone sarebbe stato capace di spingersi anche oltre, con la collaborazione di altri indagati, tra cui Rocco D’Amico e Francesco D’Ambrosio.

In un’altra circostanza questi si sarebbero rivolti a un commerciante senegalese, Ndiae Thiaby, per costringerlo insieme agli altri ambulanti della zona, ed in occasione del mercato locale, a consegnare a titolo estorsivo 50 euro ciascuno per l’occupazione e l’utilizzo della piazza da parte degli stessi.

Anche qui indicativa una delle intercettazioni captate:

“Eehh…chiama il gioielliere pure… venite tutti, che qua Alfonso dice che deve raccogliere soldi domani, di caffè, di altre cose… eehh…vedi che ha detto Alfonso, che domani dovete lasciare 50 euro ciascuno al bar”.

(aggiornata alle 12:10)