Mafia Capitale. Sigilli ai beni dell’imprenditore “di mezzo” tra i Mancuso e Carminati
Condannato definitivamente per ricettazione e tentata estorsione, è scattato stamani un sequestro di beni, per un valore di oltre 800mila euro, a carico di Giovanni Campennì, 53 anni di Nicotera (nel vibonese), ritenuto “contiguo” alla cosca Mancuso di Limbadi.
Il provvedimento - emesso dalla Sezione misure di prevenzione del tribunale di Catanzaro, su richiesta della Procura distrettuale - è stato eseguito dai finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria del capoluogo di regione, coordinati dal procuratore Nicola Gratteri e dai sostituti Annamaria Frustaci e Andrea Mancuso.
Secondo gli inquirenti la cosca di Limbadi, per il tramite del suo rappresentante, il Campennì appunto, avrebbe avviato delle attività imprenditoriali in collaborazione con l’associazione riferibile a Carminati, nello specifico nella gestione dell’appalto per la pulizia del mercato esquilino di Roma, in cambio della possibilità per il clan laziale di svolgere a sua volta attività economiche in Calabria, sotto la protezione degli stessi Mancuso.
Le indagini patrimoniali condotte dagli investigatori del Gico catanzarese, che poi hanno condotto al sequestro, avrebbero portato a ricostruire in capo a Campennì un notevole complesso patrimoniale, il cui valore sarebbe sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati.
Nel dettaglio, sa sarebbe accertato come 53enne avrebbe dichiarato, come lavoratore dipendente e titolare di impresa individuale, dei redditi del tutto incoerenti con i beni effettivamente nella sua disponibilità.
Il provvedimento ha colpito così due ditte individuali, a Nicotera, rispettivamente attive nel commercio all'ingrosso di altri mezzi e attrezzature da trasporto” (che è di proprietà del Campennì) e di trasporto merci su strada (intestata alla moglie); due fabbricati e un terreno, sempre a Nicotera; tre autovetture e diversi rapporti bancari e finanziari.