Operazione Trigarium. “Locale” di Roccabernarda: Pm chiede condanne per oltre 190 anni
Oltre 190 anni di reclusione: questo il totale complessivo delle condanne chieste dal Pm della Dda di Catanzaro, Paolo Sirleo, nell’ambito del processo scaturito dall’inchiesta Trigarium (QUI) e che vede alla sbarra 14 imputati accusati, a vario titolo, di reati che vanno dall’associazione mafiosa, alla detenzione e porto illegale di armi, dall’estorsione alla ricettazione, dai danneggiamenti all’uccisione di animali, ma anche l’abuso d’ufficio con l’aggravante del metodo mafioso, quest’ultimo contestato in particolare a professionisti e dirigenti del Comune di Roccabernarda.
LE RICHIESTE DELL'ACCUSA
Le richieste dell’accusa riguardano, nella fattispecie, i presunti appartenenti ai Bagnato, cosca emergente della cittadina in provincia di Crotone, e nel dettaglio: Antonio Santo Bagnato (ritenuto il boss della cosca e la cui richiesta è stata di 30 anni), Antonio Cianflone (26 anni), Antonio Marrazzo (25 anni) Giuseppe Bagnato (figlio di Antonio Santo, 20 anni), Michele Marrazzo (18 anni), Mario Riccio (18 anni), Emanuele Valenti Carcea (15 anni), Maurizio Bilotta (13 anni), Salvatore Aprigliano (10 anni) Domenico Iaquinta (6 anni).
Quanto all’abuso d’ufficio viene contestato a Giovanni Iaquinta (5 anni la richiesta); al responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune di Roccabernarda e all’epoca assessore Luigi Piro (3 anni); al geometra Domenico Colao (2 anni) e all’ingegnere Salvatore Fonte (2 anni).
IL BLITZ CHE SMANTELLÒ LA COSCA
L’operazione Trigarium scattò alla fine di luglio del 2018 (QUI) e venne eseguita dai carabinieri di Petilia Policastro sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro.
Allora finirono in carcere undici persone e una quindicina furono quelle indagate. Gli inquirenti ritennero di aver sgominato la cosca dei Bagnato.
Le investigazioni avrebbero così confermato come a Roccabernarda esistesse una Locale di ‘ndrangheta “impegnata”, in particolare, in furti e uccisioni di animali d’allevamento e da cortile, ma anche in danneggiamenti a colture, veicoli, a sistemi irrigui, mezzi meccanici, oltre che nelle estorsioni.
Secondo gli inquirenti erano questi tutti atti finalizzati a raggiungere “uno stato di assoggettamento della popolazione locale”, con un “atteggiamento” definito “prevaricatore” che gli avrebbe consentito di controllare e sfruttare le poche risorse economiche di cui la zona disponesse.
Gli investigatori ritennero dunque di aver individuato i componenti della Locale, composta dai 15 indagati e capeggiata, come dicevamo, da Antonio Santo Bagnato, considerato l’ideatore dell’omicidio di Castiglione, che sarebbe stato ammazzato per una questione di affermazione sul territorio dello stesso Bagnato come capo dell’organizzazione e a discapito della famiglia Castiglione.