Operazione Faust: così i “diavoli” della ‘ndrangheta controllavano tutto, anche la politica
Si conclude con 49 arresti la complessa attività investigativa avviata nel 2016 dai Carabinieri di Reggio Calabria, coadiuvati dai reparti territoriali della Piana di Gioia Tauro.
Arresti che hanno colpito prevalentemente i centri di Rosarno e Polistena, toccando però anche le provincia di Vibo Valentia, sempre in Calabria, e quelle di Messina, Salerno, Matera, Brindisi, Taranto, Alessandria e Pavia.
È questo il pesante bilancio dell’operazione Faust (QUI), che ha visto l’esecuzione delle misure cautelari per reati che vanno dall’associazione mafiosa, allo scambio elettorale politico-mafioso, dal traffico di stupefacenti alla detenzione illegale di armi, dal tentato omicidio all’usura e alla procurata inosservanza di pena.
IL CONTROLLO DEL TERRITORIO
L’inchiesta avrebbe così messo in luce i rapporti dei Pisano con altre storiche cosche del territorio reggino, anche operanti in tutta Italia.
Particolarmente significative le attività della “società di Polistena”, capeggiata storicamente dalla famiglia Longo e della “locale” di Anoia, composta da una famiglia di imprenditori edili.
È emersa quindi una fiorente attività di narcotraffico tramite l’hub portuale di Gioia Tauro, che collega gli interessi criminali di altre realtà pugliesi e lucane, con una vera e propria rete di relazioni mantenuta dalle famiglie calabresi.
Partendo dal contesto legato al narcotraffico, sono emerse poi una serie di dinamiche esterne, legate non solo al predominio nella gestione del traffico di droga ma proprio nel controllo del territorio, specialmente sotto il quadro economico e finanziario.
La grande quantità di denaro avrebbe infatti permesso un controllo capillare dell’economa, anche tramite episodi di usura e di condizionamento, passando per i danneggiamenti e le minacce mosse a scopo estorsivo e con finalità mafiose.
In questo modo, la cosca si sarebbe garantito un rigido controllo del territorio, semplicemente tramite l’uso della violenza.
Emersa anche la volontà di compiere almeno un omicidio, a danno di un affiliano, che però è riuscito a salvarsi la pelle.
LA TRUFFA ALLO STATO
Gli inquirenti hanno scoperto poi una serie di truffe ai danni dello Stato, in particolar modo legale all’omessa dichiarazione di redditi.
Una pratica che ha permesso alle famiglie interessate di ricevere ingenti rimborsi non dovuti, tramite dichiarazioni Irpef fittizie e l’omissione di componenti del nucleo familiare.
Gli stessi nuclei familiari avrebbero dato poi rifugio ad un “associato” latitante, Domenico Pepè, catturato nel 2017 (QUI): prima di quella data, il ricercato aveva trovato rifugio in Campania grazie all’interessamento della consorteria rosarnese, dimostrando i particolari legami criminali.
LE ELEZIONI DEL 2016
Infine, di particolare gravità e rilevanza il presunto condizionamento dell’attività amministrativa rosarnese, tramite il controllo e la guida della campagna elettorale.
Nel corso delle investigazioni emergerebbe infatti l’appoggio fornito dalla cosca Pisano al candidato a sindaco e ad un consigliere comunale di Rosarno, Giuseppe Idà e Domenico Scriva, successivamente eletti nelle consultazioni del 2016 e oggi finiti ai domiciliari.
Un appoggio che secondo gli inquirenti sarebbe stato fornito in cambio della promessa di incarichi in Comune agli “uomini di fiducia” della cosca e dell’assegnazione di lavori pubblici ed altri favoritismi.
Un legame accertato a tal punto da documentare una situazione di tensione intercorsa tra il sindaco e la cosca, dopo che questo aveva pubblicamente preso le distanze dalle consorterie nel corso di un discorso pubblico.