La case popolari erano affare loro, grazie anche a dipendenti pubblici infedeli: nove arresti
Le case popolari di proprietà del Comune di Reggio Calabria e dell’Aterp, l’Azienda territoriale che si occupa appunto dell’edilizia residenziale pubblica, gestite da un gruppo criminale al capo del quale vi sarebbero stati due pregiudicati del posto - uno dei quali, dopo delle sentenze orami definitive, riconosciuto anche come appartenente alla ‘ndrangheta - che avrebbe potuto contare anche sull’”aiutino” di alcuni dipendenti pubblici.
È quanto emerge dall’inchiesta della Dda dello Stretto non a caso chiamata in codice “Case Popolari”, che stamani ha fatto scattare le manette ai polsi di nove persone, due delle quali finite in carcere e le altre sette ai domiciliari, ed a cui si contestano non solo la gestione illegale degli immobili quanto anche delle condotte estorsive. In totale sono però 37 gli indagati.
Contestualmente, è stato disposto il sequestro preventivo di undici appartamenti assegnati illecitamente e occupati anche da alcuni degli indagati di oggi.
Le indagini, condotte dal Nucleo Investigativo dei carabinieri di Reggio Calabria e della Compagnia di Villa San Giovanni, sono partite circa otto anni fa, nel 2016, per poi proseguire fino ad epoca recente, anche con il contributo della Squadra Mobile locale, e sono state dirette dalla Procura della Repubblica.
Sotto la lente degli inquirenti, in particolare, le case popolari del quartiere “Santa Caterina” del capoluogo. La tesi è che il gruppo potesse contare anche sull’apporto fornito da alcune figure interne alla Pubblica Amministrazione, tra le quali, spicca quella di una ex dirigente dell’Aterp, che all’epoca era in servizio presso la sede di Reggio Calabria ritenuta “a disposizione” dell’organizzazione, e che si sarebbe dimostrata in grado di “pilotare” la concessione degli immobili, addirittura ideando e suggerendo le modalità migliori per realizzare gli scopi illeciti.
LA MERCIFICAZIONE DELLA FUNZIONE PUBBLICA
Una “mercificazione della funzione pubblica” - sostengono gli investigatori - che avrebbe garantito “un forte appeal al sodalizio”, che avrebbe così contato sulla cosiddetta “regolarizzazione” della posizione dell’acquirente, che, dapprima, occupava abusivamente l’immobile e, in un secondo momento, grazie ai rapporti con i dipendenti pubblici, ne diveniva il legittimo assegnatario.
Un sistema attraverso il quale i “clienti” avrebbero potuto così acquistare un’abitazione non commerciabile ad un prezzo certamente più competitivo rispetto a quello di mercato, e privandone della disponibilità cittadini e famiglie bisognosi.
A disposizione del gruppo, cvi sarebbe stato anche un dipendente del Comune di Reggio Calabria, che avrebbe individuato gli immobili popolari e li avrebbe segnalati ad uno dei promotori del sodalizio a cui, dietro pagamento, ne avrebbe ceduto le chiavi; inoltre si sarebbe adoperato nella procedura amministrativa di regolarizzazione, predisponendo anche la documentazione falsa che attestasse la residenza dei futuri acquirenti ed interloquendo con altri soggetti interni all’amministrazione per incidere illecitamente sullo stesso procedimento di assegnazione.
GLI INDIZI SULL’AGENTE DELLA MUNICIPALE
Durante le indagini sono emersi poi degli elementi a carico di un appartenente alla Polizia Municipale di Reggio Calabria, non raggiunto oggi da alcuna misura cautelare ma sottoposto a perquisizione personale e locale.
Secondo gli inquirenti, ed in più di una occasione, dietro il versamento di una somma di denaro, avrebbe falsificato della documentazione relativa al suo Ufficio, così da venire incontro ai desiderata di uno dei presunti capi dell’organizzazione.
Inoltre, è stata riscontrata la responsabilità dei promotori del gruppo anche in relazione al reato di estorsione: con minacce e violenze avrebbero costretto una persona a liberare un appartamento che aveva occupato abusivamente e che era d’interesse dell’associazione.
Sempre nel corso delle investigazioni, poi, sono emersi diversi elementi relativi alla commissione di reati in materia di stupefacenti, sia cocaina che marijuana.
Al termine delle operazioni, i due destinatari della misura della cautelare in carcere sono stati portati nella Casa Circondariale di Reggio Calabria, mentre i restanti sette sono stati collocati presso i rispettivi domicili. Contestualmente, si è proceduto ad eseguire venti decreti di perquisizione nei confronti degli indagati.