Rosarno. Armi e tentato omicidio, arrestati tre presunti appartenenti alla cosca Pesce

Reggio Calabria Cronaca

I Carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Reggio Calabria, nel corso di un’operazione denominata Lupus in fabula, hanno arrestato tre persone considerate presunti appartenenti alla cosca di 'ndrangheta dei Pesce di Rosarno ed, a vario titolo, indagati di associazione di tipo mafioso, porto e detenzione illegale di munizioni e di armi comuni da sparo e di armi da guerra, aggravate dalle finalità mafiose e tentato omicidio aggravato da finalità mafiose. Gli arresti sono stati eseguiti alle prime luci dell'alba di oggi su decreto di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Direzione distrettuale antimafia.


12:31 | I NOMI DEI TRE ARRESTATI

Tra le persone fermate dai carabinieri - gravati da precedenti penali ed in rapporti di parentela con affiliati alla cosca Pece – ci è Biagio Arena che è figlio di Domenico (54 anni), soggetto pluripregiudicato, ex latitante, attualmente detenuto e già condannato in Appello il 22 febbraio scorso, con rito abbreviato, ad otto anni di reclusione per appartenenza alla cosca nell’ambito del procedimento “All Inside.

Sia Biagio Arena che il cugino Rosario Rao, sono nipoti del boss detenuto Vincenzo Pesce (54 anni) detto “U pacciu”, esponente apicale della cosca, che attualmente è detenuto in regime di 41 bis, già condannato dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, il sempre il 22 febbraio a 16 anni di reclusione nell’ambito della stessa operazione.

Vincenzo Cannatà avrebbe, infine, parentele comuni con: Saverio Marafioti (48 anni), ritenuto dagli inquirenti il bunkerista della cosca Pesce, e detenuto nell’ambito del procedimento “Califfo” (in corso di svolgimento davanti al Tribunale di Palmi); e Antonio Pronesti’ (46 anni), già condannato con sentenza di patteggiamento, alla pena di 1 anno e 8 mesi per aver favorito il reggente della cosca, Francesco Pesce (35 anni) detto “Cicciu ’u Testuni”.

I tre indagati sono, inoltre, accusati di tentato omicidio aggravato dalle modalità mafiose e di detenzione e porto in luogo pubblico di micidiali armi da guerra, tra cui un fucile kalaŝnikov, una pistola semiautomatica Glock, una pistola automatica UZI, con relativo munizionamento. Alcune di queste armi sarebbero state manomesse per aumentarne la potenzialità offensiva.

INCASTRATI GRAZIE ALLA "CHAT"

“La valenza, senza precedenti, dell’intero impianto investigativo - affermano gli investigatori - si basa sull’applicazione di una nuova tecnologia, grazie alla quale è stato possibile eseguire l’intercettazione delle sessioni di chat tra smart phone. Gli indagati avevano scelto di utilizzare proprio quel tipo di comunicazione, credendo di poter interagire in maggiore sicurezza e non essere intercettati”.

Nel corso dei messaggi scambiati per via telematica da Arena, Rao e Cannatà, gli investigatori sono riusciti a captare, in diretta, le immagini relative alla cessione di una mitragliatrice “UZI” e di una pistola semiautomatica “Glock”, appositamente modificata per esplodere colpi a raffica.

Così come per le altre operazioni effettuate nell’ultimo triennio su Rosarno, volte a disarticolare la potente ed egemone cosca di ndrangheta (da ricordare le operazioni “All Inside”, “Califfo” e “Sant’Anna”), prezioso si è rivelato, infine, il contributo della collaboratrice di Giustizia Giuseppina Pesce.