“Riferimenti”: in Calabria l’antimafia a rischio di delegittimazione
"A seguito della vicenda "Rosy Canale" sta accadendo in Calabria, quello che si temeva e che anche il procuratore di Reggio Calabria Cafiero De Raho aveva denunciato: ossia approfittare dell'occasione per discreditare e delegittimare l'antimafia, gettando fango su tutto e tutti con livore e, quel che più sorprende, senza cognizione di causa- - Lo si legge in un comunicato stampa diffuso dal Coordinamento Nazionale Antimafia "Riferimenti" - L'antimafia è diventato l'argomento preferito da gente piccina e crediamo anche dai fiancheggiatori, ossia quelle persone funzionali al sistema.
Siamo i primi - si legge ancora - a rilevare che, in questo campo, come dappertutto ci sono i buoni e gli approfittatori ma riteniamo, che non si possa fare di tutta l'erba un fascio. Abbiamo denunciato e lo ribadiamo che Rosy Canale non può certo considerarsi un'icona né la sua attività essere classificata come antimafia. La Calabria è una terra molto particolare, ingrata per certi versi e dove vige un modo di pensare ed agire non riscontrabile in nessun paese al mondo. Il poeta Giunta fa scuola in questo senso.
Sono pronti - continua la nota - ad affossare e innescare dubbi, con fare disfattista e quasi sempre vigliacco perché'' mai hanno il coraggio di esprimersi chiaramente,assumendosi la responsabilità delle loro parole. Insinuano e basta; dalle mie parti si dice: buttano la pietra e nascondono la mano. Non si capisce il perché si tende sempre a distruggere e mai a costruire. Ritengo che sia questa una delle cause per cui questa regione non progredisce e viene emarginata e bistrattata.
Spesso si da la colpa alla stampa e ai media nazionali ma penso che, invece, che sia da attribuire prima di tutto agli indigeni,a quei calabresi con mentalità piccola e meschina che denigrano tutto e il contrario di tutto per invidia o cattiveria questo non si è mai compreso. Bisogna fare molta attenzione perché' tentare di delegittimare il buono che c'e nell'antimafia in una terra come la Calabria vuol dire fare il gioco della criminalità organizzata ed essere ad essa strumentali.
Qualche anno prima di morire Paolo Borsellino, e tutto il pool antimafia di Palermo, sono stati coinvolti in una polemica nata da un articolo pubblicato sul "Corriere della Sera" del 10 gennaio 1987 a firma di Leonardo Sciascia.
L'articolo era intitolato "I professionisti dell'antimafia" e questa era la sua tesi di fondo: in Sicilia il modo migliore per fare carriera in politica e in magistratura è dichiararsi antimafioso, usare l'"antimafia come strumento di potere", come mezzo per diventare potenti ed intoccabili. Citare Borsellino come "esempio di professionismo mafioso, insinuare il dubbio che il magistrato avesse fatto carriera grazie alla lotta alla mafia, è stato certamente un errore, sfruttato abilmente dai nemici del pool. Questo dimostra che anche i grandi intellettuali possono sbagliare.
C'è da rilevare, però, - si legge infine - che ancora qualcuno persiste, per ignoranza, nell'errore. Non siamo tutti uguali! Che ci sia, poi, chi approfitta della lotta alla mafia per i propri affari, questo siamo i primi a denunciarlo ma certo non si possono offendere le vittime e soprattutto coloro che di quest'impegno ne hanno fatto ragione di vita."