Reggio. Beni per 7 milioni confiscati a presunti esponenti delle cosche Cordì e Gallico

Reggio Calabria Cronaca

Beni immobili e società per un valore di circa 7 milioni di euro e considerati riconducibili ad esponenti delle cosche di ‘ndrangheta dei Cordì e dei Gallico, sono stati sottoposti stamani a confisca da parte della Polizia di Reggio che ha eseguito un provvedimento emesso dall’Autorità giudiziaria di Reggio Calabria.

h 9:14 | In particolare su disposizione del Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di Prevenzione, la Polizia di Stato ha eseguito la confisca di beni nella disponibilità di Giuseppe Gallico, 58 anni, e della moglie Maria Carmela Surace, 55 anni, ritenuti appartenenti alla ‘ndrina Gallico operante sul territorio di Palmi.

L’odierno provvedimento trova origine nell’operazione “Cosa Mia”, frutto di indagini coordinate dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria e condotte dalla locale Squadra Mobile e dal Commissariato P.S. di Palmi nei confronti di 52 soggetti, ritenuti i maggiori esponenti delle ‘ndrine dei Gallico-Morgante-Sgrò-Sciglitano di Palmi e di quelle contrapposte dei Bruzzise-Parrello operanti nel limitrofo comune di Seminara, protagoniste di una sanguinosa faida consumatasi tra il 2004 ed il 2008.

Nei confronti dei soggetti coinvolti dalle indagini, accusati a vario titolo di associazione mafiosa ed altro, è stata altresì contestata – sottolineano gli inquirenti - l’estorsione consumata nei confronti delle ditte appaltatrici dei lavori di ammodernamento del V macrolotto dell'autostrada A3 costrette al pagamento di una tangente sull’importo fissato nel capitolato d’appalto (c.d. “tassa ambientale”), nonché al rifornimento di calcestruzzo da aziende vicine alle predette cosche.

Con l’odierno provvedimento il Tribunale – Sez. Mis. Prev. di Reggio Calabria, accogliendo le risultanze delle correlate indagini patrimoniali, ha disposto la confisca di un fabbricato a quattro piani a Palmi, comunemente denominato ‘Villa’,risultato frutto di attività di natura estorsiva ed adibita oltre che a residenza dei Gallico, altresì – secondo gli investigatori - a base logistica degli affari criminali di ‘famiglia’ ed all’interno del quale erano stati nel passato individuati rifugi utilizzati per nascondere i latitanti appartenenti alla stessa ‘ndrina.

Il provvedimento di confisca ha riguardato anche una villetta a schiera a Palmi; un’impresa individuale di lavanderia, “Lavanderia Italia di Surace Maria Carmela” di proprietà di quest’ultima. "Impresa, questa, - si legge nel comunicato della Polizia - sviluppatasi in virtù dell’intimidazione mafiosa posta in essere dai “Gallico”, che avrebbero costretto il titolare di un’impresa concorrente a cedere loro metà dell’attività di lavaggio delle lenzuola utilizzate dagli operai alloggiati nei campi-base installati sulla SA-RC oppure, in alternativa, a versare agli stessi “Gallico” un’equivalente somma di denaro; due autovetture vari conti correnti e libretti di deposito a risparmio".

Il Tribunale ha anche applicato ai predetti coniugi la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S., stabilita in cinque anni per Giuseppe Gallico ed in anni quattro per la moglie, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza.

Sul versante ionico della provincia reggina la Polizia di Stato ha inoltre eseguito la confisca disposta dalla sentenza della Corte D’Appello di Reggio Calabria della società “Italcantieri Costruzioni Generali s.r.l.” e della ditta individuale “Tallura Antonio”, attività imprenditoriali aventi sede a Locri, già nella disponibilità dei fratelli Antonio e Francesco Tallura, di 48 e 51 anni, detenuti.

La sentenza, emessa nel 2012 ed oggi divenuta esecutiva, è giunta a conclusione del processo avviato a seguito dell’operazione “Shark”, eseguita nell’anno 2009 dalla locale Squadra Mobile e dal Commissariato P.S. di Siderno, le cui indagini avevano consentito di far luce su numerosi episodi criminosi riconducibili al clan “Cordì” di Locri.

Con la suddetta sentenza la locale Corte d’Appello ha condannato in via definitiva i fratelli Antonio e Francesco Tallura alla pena, rispettivamente, di 7 e 6 anni di reclusione, poiché ritenuti colpevoli del reato di associazione mafiosa "per avere agevolato, - si legge ancora - attraverso l’attività esercitata dalle suddette imprese, la gestione e il controllo da parte della cosca di attività economiche, concessioni, appalti e servizi pubblici, al fine di realizzare profitti illeciti".

Il patrimonio aziendale confiscato è comprensivo delle sedi delle aziende e di un vasto parco di veicoli commerciali nella disponibilità delle stesse.