Clan Iamonte, scatta l’operazione Replica: quattro in manette
I Carabinieri di Reggio Calabria, eseguendo due diversi provvedimenti restrittivi, hanno arrestato quattro presunti appartenenti alla cosca di ‘ndrangheta dei “Iamonte” di Melito di Porto Salvo. I quattro, Carmelo Iamonte (49 anni); Gianpaolo Chilà (36); e due cugini, B.V. (28) e F.V. (26), sono accusati di associazione di tipo mafioso.
Iamonte e Chilà sono stati arrestati il 16 luglio scorso, in esecuzione di un decreto di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Procura Distrettuale di Reggio Calabria e convalidato dal gip, che ne ha disposto la custodia in carcere. Gli altri due, invece, sono stati arrestati ieri in esecuzione di un’ordinanza di applicazione di misura cautelare emessa dallo stesso gip sempre su richiesta della Dda.
LE INDAGINI dei militari dell’Arma avrebbero consentito di confermare e documentare come la cosca Iamonte, nonostante i colpi subiti di recente nelle operazioni “Crimine”, “Ada” e “Sipario”, abbia persistito in un’infiltrazione pervasiva all’interno della comunità, riuscendo a condizionarne le attività economiche e le scelte politiche. Le investigazioni avrebbero accertati che il clan “con strumenti, condotte e dinamiche tipiche e consolidate della criminalità organizzata” spiegano gli investigatori “ha condizionato le attività imprenditoriali nel settore edilizio, sia pubblico che privato” controllando imprese locali e tutte le attività produttive, subordinando al proprio benestare e consenso l’inizio di qualunque attività economica, imponendo il “pizzo”, forniture e manodopera. In alcuni casi avrebbe addirittura indirizzato l’aggiudicazione delle gare d’appalto e lavori a favore di imprese ritenute riconducibili alla cosca.
Il provvedimento di fermo emesso dalla Procura Distrettuale si basa sul pericolo di fuga dei primi due indagati, Iamonte e Chilà, che, sempre secondo gli investigatori, sarebbero stati “al corrente del rapporto di collaborazione instaurato da Giuseppe Ambrogio con la magistratura anche prima dell’esecuzione dell’operazione Sipario”. Nel corso dell’indagine sarebbe emersa anche la facilità con cui gli affiliati asserivano di poter accedere ad informazioni a carattere riservato, e la consapevolezza degli stessi (in particolare di Gianpaolo Chilà e Carmelo Iamonte) di divenire oggetto di provvedimenti di carcerazione. Iamonte, infatti, “temendo di essere nuovamente colpito dall’ennesimo provvedimento giudiziario di carcerazione” spiegano ancora gli inquirenti, avrebbe provveduto “periodicamente alla bonifica della propria abitazione”.
L’attività di indagine, che è stata avviata nel dicembre dello scorso anno, si inserisce in una più ampia manovra investigativa condotta negli anni dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio e volta al contrasto delle articolazioni locali di ‘ndrangheta storicamente egemoni nel comprensorio di Melito di Porto Salvo ed avrebbe documentato come, attualmente, Carmelo Iamonte sia il capo indiscusso della cosca: sarebbe emerso infatti lo stesso si sarebbe attribuito il ruolo di capo assoluto quando avrebbe affermato egli stesso che se fosse stato libero non sarebbero stati commessi i gravi errori nella gestione del sodalizio che avevano condotto all’operazione “Ada”. Iamonte è anche partecipe dei destini della sua organizzazione, anche quando le vicende giudiziarie non lo toccano direttamente ed il suo carisma è tale che a lui si sarebbe rivolto perfino un avvocato reclamando di non avere nessun imputato da difendere per il processo “Ada”. Il presunto boss, inoltre, avrebbe avallato la credibilità del collaboratore Giuseppe Ambrogio, nel momento in cui avrebbe criticato i personaggi più autorevoli che avrebbero condiviso notizie riservate dell’associazione con Ambrogio, soggetti tra i quali il fratello Remingo, Antonino Tripodi “barrista” e Lorenzo Marino, zio del collaboratore.
Gianpaolo Chilà, viene invece indicato da Giuseppe Ambrogio come affiliato alla cosca ed appartenente alla “società minore” della “locale” di Melito Porto Salvo. L’esecuzione dell’operazione “Sipario”, maturata al termine del lavoro investigativo che era rivolto a riscontrare le dichiarazioni rese da Giuseppe Ambrogio, si presenterebbe, sempre secondo gli inquirenti, come un evento già annunciato considerando che gli affiliati sono risultati essere già al corrente del rapporto di collaborazione instaurato da Ambrogio con la magistratura. Le conversazioni telefoniche e ambientali intercettate a bordo dell’auto di Gianpaolo Chilà, nelle ore immediatamente successive all’esecuzione degli arresti, sarebbero indicative dell’appartenenza di quest’ultimo all’organizzazione: Chilà sarebbe apparso in un evidente stato di agitazione esternando il suo disappunto nei confronti di Demetrio Iachino, colpevole – a suo dire - di non averlo “notiziato” subito dell’accaduto. Dalle intercettazioni emergerebbe, inoltre, come tra le priorità cui Chilà deve subito far fronte vi sia la gestione del circolo “La Fontana” (condiviso con Giuseppe Romeo Iaria) e dietro al quale, alla luce di quanto rivelato da altri indagati, si celerebbero gli interessi economici degli appartenenti alla stessa cosca.
Sulla condotta dei due cugini, le indagini dimostrerebbero la presunta intraneità alla cosca Iamonte, che sarebbe emersa già dal contenuto di alcune conversazioni telefoniche captate nell’ambito dell’operazione “Ada”, di cui, successivamente, uno dei due conversanti, Giuseppe Ambrogio, poi divenuto collaboratore di giustizia, avrebbe confermato contenuto, significato e rilevanza specifica rispetto a quanto già dedotto all’epoca dagli investigatori.