Traffico di cocaina, dal Sudamerica all’Italia passando per Gioia Tauro: 18 arresti
18 persone, considerate appartenenti ad una pericolosa organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di cocaina, sono i destinatari un ordine di arresto emesso dalla Dda ed eseguito dalla Guardia di finanza di Reggio Calabria e dalla Scico di Roma. Secondo gli inquirenti gestivano il traffico della droga che giungeva, dal Sud America in Italia, attraverso le strutture logistiche del porto di Gioia Tauro e grazie alla complicità di alcuni dipendenti portuali.
Le indagini patrimoniali hanno portato ad individuare dieci imprese, beni mobili ed immobili, per un valore complessivo di circa 10 milioni di euro, riconducibili ai soggetti destinatari della misura cautelare e a loro familiari patrimonio che si sarebbe dimostrato sproporzionato rispetto ai redditi da effettivamente dichiarati e per questo motivo sottoposti a sequestro.
Il Gip di Reggio, Domenico Santoro, ha emesso la misura cautelare in carcere a seguito del provvedimento di fermo di indiziato di delitto eseguito il 24 luglio scorso dalla Direzione Distrettuale Antimafia, nel corso dell’operazione Puerto Liberado e successivamente convalidato da parte dei Gip di Reggio, Locri e Palmi, a carico di 10 presunti appartenenti al sodalizio criminale. Per altri due soggetti resisi irreperibili si procederà in stato di latitanza.
I vari Gip competenti per territorio, il 24 luglio hanno convalidato il fermo del Pm ed emesso la misura coercitiva nei confronti di tutti gli indagati e per tutte le ipotesi di reato contestate.
All’esito della dichiarazione di incompetenza dei Gip di Palmi, Locri e Reggio, i tredici indagati sono stati nuovamente raggiunti, per i capi di imputazione già contestati, dal provvedimento di oggi con il quale sono stati arrestati altre cinque persone, per traffico internazionale di sostanze stupefacenti, e precisamente: Vincenzo Trimarchi (45 anni), Giuseppe Galluccio (51), Carlo Moretti (49), Francesco Nirta (27) e Antonio Giovanni Staiti (50). Sarebbero emersi come responsabili nell’ambito del procedimento penale, le cui indagini hanno consentito di individuare l’esistenza di una vera e propria organizzazione criminale, radicata nel territorio della Piana, che, avvalendosi della collaborazione di personale della società di gestione della banchina merci del porto calabrese, avrebbe fatto fuoriuscire i carichi di stupefacente in arrivo dai maggiori porti del Sud America.
Vincenzo Trimarchi detto il “Merlo”, dirigente quadro della società di gestione della banchina era stato arrestato in flagranza di reato il 6 ottobre 2011 mentre tentava di allontanarsi trasportando a bordo di un furgone sedici borsoni contenenti 560 kg circa di cocaina purissima. A carico dello stesso sarebbero emersi indizi di responsabilità che lo vedrebbero coinvolto a pieno titolo nella “società di servizi dei Fratelli Brandimarte” per la fuoriuscita dallo scalo portuale delle partite di coca importate dalle cosche reggine. In questa attività Trimarchi sarebbe stato coadiuvato dai sui colleghi Gianpietro Sgambetterra e Mario Ietto, questi ultimi già sottoposti a fermo il 24 luglio.
Gli arrestati avrebbero agevolato l’organizzazione, prendendovi parte - secondo gli inquirenti - ognuno con propri specifici ruoli e, in particolare, Giuseppe Galluccio, Carlo Moretti e Antonio Giovanni Staiti avrebbero gestito logisticamente Vincenzo Caratozzolo, durante la sua permanenza in Colombia, come emissario dell’organizzazione per avviare i contatti con i narcos sud americani; Francesco Nirta invece avrebbe gestito per conto dell’organizzazione il traffico di stupefacenti nella capitale romana, prima di essere arrestato nel luglio del 2013 dalla Guardia di Finanza di Roma, in applicazione di un’ordinanza di misura cautelare in carcere, emessa il 4 dicembre del 2012 dal Tribunale di Reggio Calabria. Tra i soggetti non colpiti dall’ordinanza, ma indagato a piede libero, risulta un altro dipendente del prefato scalo portuale.
In questo contesto, inoltre, gli accertamenti patrimoniali avrebbero “permesso di rilevare una situazione reddituale del tutto iniqua rispetto a quanto posseduto” affermano sempre gli investigatori. L’attività è stata indirizzata ad individuare il patrimonio degli indagati e dei loro rispettivi nuclei familiari, “previa rilettura in chiave patrimoniale, economica e finanziaria - aggiungono gli inquirenti - degli elementi già emersi nel corso delle investigazioni condotte, che avevano consentito l’emissione dei primi provvedimenti di fermo di indiziato di delitto”.
La certosina attività d’indagine, effettuata a ritmi serrati per il pericolo di dispersione dei beni a poca distanza dai fermi, avrebbe rilevato che i nuclei familiari degli indagati presentavano una situazione del tutto iniqua rispetto al patrimonio posseduto, dunque, che dimostrerebbe per gli investigatori una “chiara attestazione della sussistenza di un’evidente sperequazione tra reddito dichiarato e tenore di vita degli indagati. La presunta illiceità del patrimonio rappresenta, quindi, un’inequivocabile frutto delle attività criminali poste in essere dagli stessi in seno ed al servizio della prefata organizzazione criminale”.
Accogliendo la tesi formulata dalle Fiamme Gialle reggine, integralmente recepita dalla Procura Distrettuale delegante, con lo stesso provvedimento cautelare il Tribunale ha disposto il sequestro preventivo di 14 autovetture, di cui una blindata, utilizzata da Giuseppe Brandimante per proteggersi da possibili attentati; 25 fabbricati, di cui tre ville con rifiniture di pregio; 33 terreni; 10 imprese, operanti nel settore dei trasporti, materiale edili, prodotti medicali, sale giochi, agricoltura e allevamento; tutti i rapporti bancari, postali ed assicurativi intestati agli indagati ed ai componenti i rispettivi nuclei familiari. Il valore del patrimonio sequestrato ammonta - allo stato - a circa 10 milioni di euro, al netto delle eventuali disponibilità finanziarie che saranno rinvenute sui conti correnti o depositi.
Tra i beni sequestrati si segnalano la villa di Alfonso Brandimarte, dotata di un cunicolo occulto, predisposto, verosimilmente, per consentirgli di sottrarsi ad eventuali operazioni da parte delle forze dell’ordine. In particolare, il cunicolo – posto all’interno di un artefatto impianto idraulico – consentirebbe il passaggio di una persona dall’interno verso l’esterno su un torrente prospiciente. Alfonso è anche proprietario di una fattoria con diversi cavalli, di cui è un fervente appassionato, e ha effettuato diversi investimenti nel comasco, gestendo, insieme al suo socio Francesco Siviglia, un distributore stradale dotato di bar e un mini market di frutta ben avviati. Non meno di pregio è la villa di Antonio Femia, arredata - dichiarando meno di 1.000 euro all’anno, spiegano gli inquirenti - con interni di lusso e una piscina con relative statue in pietra.
Il risultato conseguito avrebbe contribuito in maniera determinante ad infliggere un durissimo colpo alla criminalità organizzata calabrese che ormai detiene - come dimostrerebbero le indagini - la leadership mondiale del traffico internazionale di stupefacenti che dalle coste del Sud America inonda il mercato nazionale ed europeo con ingenti carichi di cocaina purissima.