Catanzaro: lettera di una cittadina su disavventura al pronto soccorso

Catanzaro Salute

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una cittadina di Catanzaro su una disavventura avvenuta al pronto soccorso dell’ospedale A. Pugliese:

“Sono una calabrese che ama tanto la sua terra e che ha scelto con consapevolezza di rimanervi. Mi fa male dover scrivere che da noi le istituzioni non funzionano, ma la mia onestà mi spinge a rendere pubblico ciò che è accaduto un sabato pomeriggio dell'ospedale al pronto soccorso "A. Pugliese" di Catanzaro.

Inizialmente avevo deciso di non dire nulla, anche per il risvolto positivo della vicenda, ma poi mi sono detta "No! Tutti devono sapere, specie le istituzioni".

Con la premessa che ringrazio di cuore il personale medico e paramedico per le cure prestate a mio marito, devo descrivere lo scenario che mi si è parato davanti agli occhi giunta in reparto. Sembrava di essere in guerra: pazienti su sedie a rotelle, altri su lettighe, altri ancora sorretti dai familiari, ambulanze e automobili in sosta con a bordo persone sofferenti in attesa di una risposta. A tutto ciò si aggiunga il panico e la paura dei pazienti. I primi ad essere aggrediti a causa di questa situazione sono i medici e gli infermieri in servizio e spero loro comprendano che gli utenti non chiedono l'impossibile, ma solo che sia rispettato un diritto, quello alla salute. Però mi chiedo: possono al pronto soccorso di Catanzaro 2 medici e 4 infermieri prestare le dovute cure ai tanti pazienti, non solo i residenti, ma quelli provenienti da più parti della provincia? I dirigenti sanitari e la classe politica a cui viene addossata la responsabilità del non funzionamento della Sanità Calabrese probabilmente non attendono lunghe ore al pronto soccorso e magari arrivano nel reparto di loro interesse immediatamente, come mi è capitato di leggere sui giornali, forse per questo motivo non conoscono la reale condizione che noi cittadini siamo costretti a subire nei nostri "Non Pronto Soccorso"? Devono essere ignari di tutto altrimenti è impossibile che umanamente non prendano provvedimenti in merito.

Mio marito è affetto da una grave patologia. Da anni combatte con estremo coraggio contro la distrofia muscolare. Una malattia terribile che anche chi non è medico sa quanto può essere devastante nelle sue conseguenze. Quella notte ha iniziato ad accusare un fastidio alla gola ed io ho deciso di portarlo personalmente al Pronto Soccorso di Soverato. Erano le 2 di notte. Qui, nonostante avessi fatto presente le gravi condizioni fisiche di partenza di mio marito, decidono di farlo attendere. Quando viene visitato, i medici stabiliscono che il presidio ospedaliero di Soverato non ha i mezzi per curarlo e decidono di trasferirlo a Catanzaro. Si parte con un'ambulanza. A Catanzaro, immediatamente capiscono che la situazione è grave e che mio marito rischia la vita. Mi chiedo: "Allora lo ricoverano!". No, non ci sono posti, deve tornare a Soverato. Mio marito, 57 anni, malato di distrofia muscolare, in gravissime condizioni, viene rimesso sull'ambulanza per essere trasferito, nuovamente, a Soverato. Inizio a pregare. A Soverato, il personale medico spiega a chiare lettere che il "caso" di mio marito non può essere "trattato" nell'ospedale del basso Jonio. "A che serve dunque qui un pronto soccorso?", è la prima domanda che mi viene in mente. Cosa succede a questo punto? Mio marito torna sull'ambulanza per il terzo viaggio verso Catanzaro. Un pacco postale. Al Pugliese però, ribadiscono la mancanza di posti. "Signora la situazione è grave, non può restare in Pronto Soccorso, dobbiamo trasferirlo a Cosenza". "Un altro viaggio?", penso, "Assolutamente no! Mio marito non si muove da qui". Il diniego assoluto di mio marito lo fa rimanere su una barella, nell'attesa di un posto letto, fino alle 12.00. Dalle due di notte a mezzogiorno, un paziente, affetto già da una patologia degenerativa grave e che rischiava di "morire da un momento all'altro", come mi è stato più volte ripetuto dai medici, ha aspettato dieci ore che si liberasse un posto letto, relegato come un pacco postale su una barella, per poi essere trasferito in reparto.

Mi auguro che istituzioni, dirigenti e anche il nuovo Commissario della Sanità calabrese, il generale Pezzi, leggano questa mia missiva e si facciano carico della scelta scellerata del taglio delle risorse umane, del taglio dei loro costi e dei tanti sprechi che in Calabria sono all'ordine del giorno. La colpa, tuttavia, cari Calabresi, è la nostra, perché siamo noi a scegliere chi ci amministra e che occupa gli scranni del potere e delle responsabilità.”


Amelia Varano



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