Blitz della polizia tra le cosche del reggino. In manette i fiancheggiatori dei boss latitanti

Reggio Calabria Cronaca

Dalle prime ore di oggi gli investigatori dello Sco, il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, e della Squadra Mobile di Reggio Calabria, al termine di complesse e articolate indagini, stanno eseguendo un decreto di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo, nei confronti di diversi soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena.


In pratica, e secondo gli inquirenti, avrebbero aiuato i latitanti di ‘ndrangheta Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro, inseriti nell’elenco dei ricercati pericolosi del Ministero dell’Interno e catturati dalla Polizia a Maropati il 29 gennaio scorso in un covo costruito in una zona impervia di campagna, completamente mimetizzato nella fitta vegetazione; e quella del latitante Antonio Cilona, appartenente alla cosca Santaiti di Seminara, condannato all’ergastolo in secondo grado.

LE ARMI, IL COVO CON DOCCIA E CUCINA E I VIVANDIERI

Oltre all’arresto dei due pericolosi latitanti, l’operazione denominata Spazio di libertà, portò all’individuazione ed al sequestro nel loro covo, dotato di ogni comfort, di 8 pistole, 3 armi lunghe ed un kalashnikov, alcune cariche e pronte all’uso, munizionamento di vario calibro, esplosivo, detonatori e, inoltre, di un monitor e delle microtelecamere collegate per la videosorveglianza esterna del nascondiglio.

I “vivandieri” assicuravano a Crea e Ferraro i collegamenti con gli altri membri della cosca e, più in generale, con i familiari, procurando loro appuntamenti con soggetti terzi o riportando loro e per loro conto le così dette “imbasciate”, provvedendo anche a realizzare un covo completamente mimetizzato nella fitta vegetazione, fornito di acqua corrente, energia elettrica, bagno con doccia e di una cucina.

GLI ARRESTATI

Achille Rocco Scutellà, nato a Cinquefrondi (cl. 1988); Domenico Facchineri, nato a Cinquefrondi (1992); Luigi Facchineri, nato a Cinquefrondi (1994); Elio Arcangelo Morfea, nato a Cinquefrondi (1995); Antonio Cutrì, nato a Reggio Calabria (1987); Giuseppe Antonio Trimboli, nato ad Oppido Mamertina (1961); Pietro Garzo, nato a Palmi (1976); Annunziato Garzo, nato a Reggio Calabria (1983); Vincenzo Rosace, nato ad Oppido Mamertina (1983); Pietro Melito, nato a Palmi (1989); Pasquale Vitalone, nato a Reggio Calabria (1990);

Si sono sottratti alla cattura e sono attivamente ricercati Francesco Antonio Crea, nato a Rizziconi (1962); Mario Luciano Crea, nato a Taurianova (1989) e Girolamo Facchineri, nato a Cittanova (1966);

COSÌ I SODALI, VIA RADIO, “ASSISTEVANO” “ALBERTO” E “CICCIO”

Gli inquirenti sono riusciti a risalire, tramite particolari attrezzature tecniche, agli strumenti di comunicazione tra i due latitanti di ‘ndrangheta ed i loro sodali, i quali erano soliti utilizzare delle frequenze radio VHF, libere in etere, rispetto ai più moderni sistemi basati sulla telefonia cellulare.

La radio ha consentito di ricostruire in tempo reale non solo la gestione del menage dei boss in fuga, ma anche l’organizzazione dei loro appuntamenti con i familiari e/o terze persone.

Tra le molteplici comunicazioni intercorrenti sulle frequenze, è stato possibile individuarne alcune che, abilmente decriptate dagli investigatori addetti alle intercettazioni della frequenza, hanno permesso di stabilire che le stesse intercorrevano fra taluni stretti congiunti di Giuseppe Crea e dai componenti della famiglia mafiosa dei Facchineri di Cittanova verso i due latitanti Crea e Ferraro, intesi rispettivamente con i nomi di “Alberto” e “Ciccio”, con lo scopo provvedere al sostentamento della loro latitanza.

LO “SPECIALISTA” DELLE COMUNICAZIONI

Tra gli arrestati, inoltre, Francesco Antonio Crea, ritenuto l’esperto della cosca nell’utilizzare i sistemi elettronici necessari per disinnescare i dispositivi d’intercettazione ambientale.

Francesco Antonio, per gli agenti della mobile, avrebbe gestito la latitanza di Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro “adoperando ogni tipo di accortezza, secondo modalità operative (disturbatori di frequenze, bonifiche delle auto, spegnimento dei telefoni cellulari per non essere localizzato, l’appartarsi in campagna a parlare via radio in modo da non essere visto) collaudate nel tempo ed interfacciandosi continuamente con gli altri sodali operanti nello stesso settore d’attività della cosca”, tra cui, in primis il figlio Mario Luciano, Girolamo Facchineri e Achille Rocco Scutellà, tutti tratti in arresto nell’operazione odierna.

IL RUOLO DI ANNUNZIATO GARZO

Fra gli arrestati figura Annunziato Garzo, che è accusato di favoreggiamento aggravato. Secondo gli inquirenti avrebbe aiutato Antonio Cilona, appartenente alla cosca Santaiti di Seminara, a sottrarsi all’esecuzione dell’ordinanza cautelare della custodia in carcere emessa il 27 luglio del 2015 dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria nell’ambito del procedimento penale relativo alla coisddetta operazione “Cosa Mia”. Sempre in base all’accusa avrebbe messo a disposizione “quanto necessario a protrarre lo stato di latitanza di Cilona, alla sua assistenza morale e materiale ed alla creazione a tal fine di una rete di supporto e di tutela ed in particolare, procurandogli e recapitandogli beni di prima necessità”. Cilona Antonio era stato catturato dalla Mobile nel pomeriggio del 5 Gennaio scorso.

FIANCHEGGIATORI “INCASTRATI” DALLE TELECAMERE

Le indagini sono state caratterizzate dalla ricostruzione certosina dei movimenti dei presunti fiancheggiatori attraverso le immagini registrate dalle telecamere installate lungo il percorso stradale che da San Procopio, Sinopoli, Gioia Tauro e Rosarno conduceva nella campagna di Maropati, dove i due latitanti vennero arrestati a gennaio.

L’analisi degli spostamenti effettuati da Achille Scutellà - nipote di Giuseppe Crea, finito in manette nell’operazioni di oggi - sempre con le stesse modalità esecutive ed accortezze avrebbe consentito agli investigatori di comprendere che lo stesso avesse assunto un ruolo sempre più importante nella gestione della latitanza sia dello zio che di Ferraro.

Scutellà - figlio di Domenica Alvaro, sorella della moglie di Crea – sarebbe risultato in contatto con quest’ultimo sin dalla prima fase delle indagini, quando è stato più volte riconosciuto come uno degli interlocutori via radio (con il nome in codice de L’allievo) dei due latitanti, di cui eseguiva gli ordini.

Sempre attraverso la collocazione di telecamere di sorveglianza altamente sofisticate, la Squadra Mobile ha individuato l’intero gruppo di fiancheggiatori dei latitanti, che sarebbe stato allestito sotto l’attenta regìa di Giuseppe Antonio Trimboli che aveva messo a disposizione il terreno da cui partiva il sentiero, lungo poco meno di 40 metri, che portava al covo.

Più volte le autovetture in uso a Trimboli sono state riprese dalle telecamere della polizia mentre percorrevano la stessa strada sterrata, quando singolarmente e quando erano in compagnia di quelle in uso agli altri sodali arrestati oggi (Pietro e Annunziato Garzo e Vincenzo Rosace) per poi arrestare la marcia proprio sulla piazzola da cui gli occupanti scendevano e sparivano nella fitta vegetazione, in direzione del bunker.

Nel covo di Maropati gli agenti aveva trovato alcuni “pizzini che, al termine di successivi accertamenti, risultano essere stati scritti da Achille Rocco Scutellà che, in questo modo – secondo la tesi degli inquirenti - informava lo zio di aspetti rilevantissimi della vita della cosca, come l’acquisto di micidiali armi da guerra, chiedendo, allo stesso tempo, lumi al suo capo sulla destinazione delle stesse o predisponendo incontri con il latitante o tra questi e terze persone, “così – sostengono gli invetigatori -fungendo da imprescindibile raccordo con il mondo esterno del vertice della cosca a cui veniva garantita l’effettività del comando nonostante la latitanza”.

(Aggiornata alle 13:15)