Operazione “Puerto Connection”, confiscati beni per 3 milioni di euro

Reggio Calabria Cronaca

Al termine delle indagini condotte nell’ambito dell’operazione “Puerto Connection”, volta al contrasto al traffico internazionale di stupefacenti, la Guardia di Finanza di Reggio Calabria - su ordine della Procura – ha confiscato beni immobili del valore di oltre 3 milioni di euro, ad Alfonso Brandimarte, 39enne ex dipendente di una società di gestione della banchina merci del Porto di Gioia Tauro.

Brandimarte è stato arrestato, nel luglio del 2014, nel corso dell’operazione “Puerto Liberado” su provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia del capoluogo. Per gli inquirenti, che lo accusano di associazione a delinquere dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, sarebbe il promotore di un’organizzazione criminale articolata su più livelli - di cui farebbero parte anche squadre di operatori portuali infedeli - dotata di elevatissime disponibilità finanziarie e che aveva il compito di reperire ed acquistare all’estero ingenti quantità di cocaina.

Nel corso delle investigazioni, si accertò che la droga partiva dai porti panamensi di Cristobal e Balboa e veniva importata facendola transitare dallo scali di Gioia Tauro e da altri nazionali ed europei, a bordo delle navi cargo della Msc.

Nell’ambito della stessa operazione, nel 2011 il Goa, Gruppo Operativo Antidroga delle fiamme gialle, aveva arrestato Vincenzo Trimarchi, considerato uno dei componenti della stessa organizzazione, che venne sorpreso mentre tentava di ritirare più di 500 chili di cocaina dall’area portuale di Gioia Tauro per poi consegnarli proprio a Brandimarte.

Le indagini successive avrebbero evidenziato l’estrema pericolosità e, contemporaneamente, la notevole capacità delinquenziale del gruppo, forte a tal punto da essere in grado di “testare” la “risposta” dei controlli delle forze dell’ordine effettuando dapprima dei piccoli carichi “di prova” e variando di volta in volta il proprio modo d’agire in base al trasporto e al recupero della cocaina, utilizzando anche strumenti di comunicazione che erano criptati così da non essere intercettati.

In base alle prove acquisite durante le investigazioni, e successivamente confermate nel giudizio di primo grado, gli investigatori, in collaborazione con la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, hanno indagato sull’aspetto patrimoniale e finanziario dell’attività illecita, per dimostrare che i membri dell’organizzazione potessero contare su ricchezze che non sarebbero state giustificate dai redditi che dichiaravano o dall’attività economica che svolgevano.

Un’indagine piuttosto difficile da svolgere date le manovre elusive e i meccanismi di “mimetizzazione” adottati dagli indagati. Alla fine, però, si è arrivati ad individuare beni mobili ed immobili, disponibilità finanziarie e attività economiche in Lombardia e in Calabria che, sebbene gestite tramite fiduciari, sarebbero state nella disponibilità di Alfonso Brandimarte, inizialmente sequestrate dal Tribunale e oggi confiscate. Si tratta, nel dettaglio, di quattro immobili, tre terreni, due autovetture, una ditta individuale comprensiva del patrimonio aziendale; una società commerciale;​ del 50% delle quote di una società commerciale; due polizze assicurative e tre rapporti finanziari.