LETTERE. Crotone ed io: studentessa “emigrata” da una città che non trova posto nel mondo
Riceviamo e pubblichiamo.
“Sono una studentessa universitaria nata e cresciuta a Crotone, in Calabria, fino all'età di venti anni quando sono "emigrata" al nord e più precisamente a Bologna per poter proseguire i miei studi e per costruirmi quello che ci è stato tolto: un futuro.
Una storia come tante. Una storia di partenze e di sacrifici; di delusione e di rabbia. In un giorno come gli altri, quando il ricordo di casa sembra ormai accompagnare silenzioso lo scorrere del tempo, ho appreso la notizia su di un giornale online che titolava così: "Operazione Tempio di Hera: abusi e saccheggi di un territorio ricco di storia".
Per iniziare dovrei forse con un breve excursus parlarvi della storia della mia città. Crotone è un comune di poco più di 60.000 abitanti situata sul versante est della Calabria ed affaccia sul mar Ionio. La parte a sud del territorio crotonese è compresa nell'area marina protetta di Capo Rizzuto dove inoltre si erge il promontorio di Capo Colonna.
Qui è presente l'unica colonna del tempio di Hera Lacinia, uno dei santuari più importanti della Magna Grecia dall'età arcaica fino al IV secolo a.C. Il promontorio, chiamato anticamente Lacinion, diede anche l'epiteto alla dea venerata, Hera Lacinia. Il nome odierno invece ricorda le rovine del tempio, mentre il nome usato fino all'epoca moderna, "Capo Nao", altro non è che una contrazione del greco naos, che significa appunto tempio. Il santuario era stato edificato alla fine del VI secolo a.C. ed era anche chiamato di Hera Eleytheria, come resta testimoniato da un'iscrizione sul cippo del Lacinion.
ll complesso era composto da più edifici, dei quali sono oggi visibili alcuni resti. Il tempio vero e proprio, di ordine dorico, con sei colonne sulla facciata, era proteso verso il mare e aveva la classica forma dei templi greci: un imponente complesso di quarantotto colonne in stile dorico alte oltre 8 metri e costituite da otto rocchi scanalati.
Inutile dunque aggiungere che la città di Crotone fu fondata da coloni greci, provenienti dalla regione dell'Acaia nel terzo quarto dell'VIII secolo a.C., nel luogo di un preesistente insediamento indigeno e rappresentò uno dei centri più importanti della Magna Grecia.
Kroton fu anche celebre per i suoi medici tra cui ricordiamo Democède ed Alcmeone, il quale introdusse la sperimentazione trasformando la medicina, che fino ad allora era contaminata da magia e superstizione, in una vera e propria scienza. Pitagora, nato a Samo nel 572 a.C. si trasferì - intorno al 530 a.C. - a Kroton presso l'amico Democède, creando una scuola di sapere di scienza, matematica, musica: la cosiddetta Scuola Pitagorica.
Potrei dilungarmi ancora e ancora per "convincervi" a dare importanza a una questione e ad un argomento che io ritengo sia certamente di un certo spessore, non solo culturale, ma anche antropologico. Antropologico perché credo che essere uomini significa in primis rapportarsi in una realtà sociale ed è proprio questo vivere in società che maggiormente mi porta a credere che di societas (come la definivano i latini) non abbiamo capito proprio nulla.
Questo è ciò che emerge dalle parole dei due articoli sopra allegati, insieme alla mia profonda convinzione di dividere la paternità di un territorio con uomini che di umano hanno ben poco.
La domanda che ad oggi mi pongo è: quanto e fin dove si spinge la denigrante omertà su tutto quello che riguarda il mio territorio? Inoltre: è giusto non rendere partecipi le istituzioni più in alto dei problemi che riguardano un territorio abbandonato e dimenticato solo perché lontano dagli occhi dei nostri Capi di stato o degli esponenti dello stesso, non esponendo neppure la notizia all'interesse pubblico?
Io mi sento una ragazza in terra straniera e domani una donna ed una madre in terra straniera. Non voglio raccontare della nazione che si dimentica di tutto e di tutti ed anche del "Bello" che ha da offrire. Che insabbia piuttosto che dare luce. Che nasconde piuttosto che divulgare. Quello che oggi potevo fare nel mio piccolo e nell'ingenuità dei miei ventuno anni, era denunciare quello che i miei occhi sono costretti a vedere e le mie orecchie costrette a sentire; di una città che non trova più un posto nel mondo.
Sara Gemelli, studentessa crotonese