‘Ndrangheta, sequestrati i beni al presunto boss del basso Lazio
Si chiama operazione “Cleaning” e, scattata all’alba di oggi nella Capitale, ha colpito quelle che gli inquirenti considerano le figura apicali della cosca di ‘ndrangheta dei Tripodo di Reggio Calabria, da anni presente nell’agro sud-pontino. I finanzieri hanno così sequestrato beni che si stima del valore di oltre 3 milioni di euro.
I sigilli sono stati apposti, su disposizione del Tribunale di Latina, al patrimonio quattro società che operano nel settore delle pulizie e del trasporto di merci per conto terzi; a 15 fabbricati e 9 terreni a Fondi (LT); quattro auto, 13 autocarri e a rapporti bancari, postali, assicurativi ed azioni
Le indagini economico-patrimoniali, condotte dagli specialisti del Gico di Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma, Capitale ricondurrebbero “alla sfera di influenza” del pregiudicato Carmelo Giovanni Tripodo un rilevante patrimonio - mobiliare, immobiliare e societario - che sarebbe incongruente con i redditi dichiarati dallo stesso.
Le investigazioni sono partite dalle inchieste “Damasco” e “Damasco 2” (dirette sempre dalla Dda capitolina) che, nel luglio del 2009, portarono all’arresto di Tripodo, peraltro già gravato dal 1983 da precedenti per associazione a delinquere finalizzata al sequestro di persona a scopo di estorsione, violazioni alla normativa sugli stupefacenti e in materia di armi e usura.
Secondo gli inquirenti sarebbe al vertice di una struttura mafiosa (il clan Tripodo-Trani), che opera nel basso Lazio, e che avrebbe tentato di acquisire la gestione ed il controllo di attività economiche e commerciali, avvalendosi anche del condizionamento del Comune di Fondi.
In questo contesto, Tripodo, che è trasferito in quella zona da circa 30 anni, secondo la tesi della Dda sarebbe riuscito ad imporre “logiche mafiose in un territorio distante dalla Calabria”, anche attraverso delle presunte contiguità con un politico ed amministratore locale, già Consigliere Comunale e Assessore ai Lavori Pubblici del Comune laziale e considerato il “trait d’union” tra le istituzioni pubbliche e gli interessi della ‘ndrina calabrese.
In tal senso, si sarebbe scoperto che il settore delle pulizie fosse particolarmente caro a Tripodo, al punto che lo stesso avrebbe “assegnato” a qualificati e fidati “prestanome” – in precedentemente delle semplici dipendenti – dei ruoli di vertice all’interno di alcune società oggi sequestrate.
Anche questi fattoi, nel giugno deò 2013, la Corte D’Appello di Roma lo aveva condannato a 10 anni di reclusione in quanto ritenuto responsabile, tra l’altro, di associazione di tipo mafiosa0
Considerati i plurimi elementi che sarebbero emersi sul conto di Tripodi, su delega della Procura di Roma, sono stati eseguiti degli approfondimenti economico-patrimoniali nei confronti di numerose persone fisiche e giuridiche, così da ricostruire il suo intero patrimonio, sia diretto che indiretto, non solo per fotografare esattamente la ricchezza attualmente posseduta, ma anche per evidenziare le fonti di produzione e dimostrare se esista o meno una sproporzione esistente tra lo stesso patrimonio e l’attività economica svolta ufficialmente.
Al termine degli accertamenti, l’Autorità Giudiziaria capitolina ha richiesto al Tribunale di Latina, ai sensi del Codice Antimafia, l’emissione del decreto nei confronti sono solo del presunto boss ma anche dei familiari e dei soggetti individuati come probabili prestanome.