“Affari di famiglia”: ritorna in carcere Salvatore Minniti
È tornato in carcere Salvatore Minniti, soggetto ritenuto organico alla cosca di ‘ndrangheta Iamonte di Melito di Porto Salvo. L’arresto è stato eseguito ieri dai Carabinieri della Stazione di Saline di Montebello Jonico, che lo hanno raggiunto nei pressi della sua abitazione a Sant’Elia notificandogli l’ordine di carcerazione per un residuo pena.
A Minniti viene contestata la tentata estorsione continuata in concorso, aggravata dalle modalità mafiose. I fatti, si riferiscono ad un’importante blitz condotto nel febbraio del 2012 dai militari del Comando Provinciale di Reggio Calabria, l’operazione “Affari di Famiglia” durante la quale furono eseguiti cinque fermi di indiziato di delitto, tra cui lo stesso Minniti, e tutti considerati appartenenti alla ‘ndrangheta, in particolare alle cosche “Ficara-Latella” e “Iamonte”, operanti nel cosiddetto “mandamento di Reggio” ed in particolare nel capoluogo, a Melito di Porto Salvo e a Montebello Ionico. Le accuse, a vario titolo, erano di associazione di tipo mafioso e tentata estorsione aggravata dall’aver favorito un sodalizio mafioso.
Le investigazioni dell’epoca riuscirono a documentare l’infiltrazione pervasiva della ‘ndrangheta negli appalti per la realizzazione delle opere di ammodernamento e di messa in sicurezza della Statale 106, nel tratto compreso tra Reggio e Melito, più nello specifico tra i Km 6+700 e 31+600.
I lavori in questione, svolti da una ditta siciliana, erano iniziati da appena un mese quando il capo cantiere, intorno alla fine del mese di maggio del 2011, venne avvicinato da un emissario dei Iamonte “suggerendogli” di seguirlo perché vi erano “alcune persone” che volevano parlargli.
Il giovane era stato portato così in una strada di campagna isolata, dove ad attenderlo c’erano altri due uomini di mezza età, uno dei quali venne successivamente identificato in Salvatore Minniti.
“Come mai avete iniziato questi lavori senza le dovute presentazioni? Adesso dovete pagarci il disturbo!”. Queste sarebbero state le parole che i due avrebbero rivolto al dipendente della ditta “sconsigliandolo” anche di rivolgersi ad altre ditte per la fornitura di servizi e di opere, forse perché poco malleabili o più semplicemente perché i subappalti dovevano essere affidate ad aziende vicine alla cosca: “…le ditte a cui avete richiesto i preventivi… come quella di Bovalino…non vanno bene!”, sentenziarono.
Quando, infine, il responsabile del cantiere spiegò che ancora erano solo dei semplici lavori di messa in sicurezza e che le opere di ammodernamento non erano ancora iniziate, i due lo avrebbero congedato con un eloquente “Ci rifaremo sentire noi”.
Trascorso poco più di un mese, iniziati appunto i lavori di ammodernamento, un uomo avrebbe poi fatto irruzione nel cantiere della Ss 106 e dopo aver strappato con violenza gli attrezzi dalle mani degli operai ed averli scagliati in terra, li avrebbe minacciati invitandoli a lasciare immediatamente il cantiere. Dopodiché si sarebbe allontanato, non prima però di lasciare un messaggio: “dite al vostro responsabile che prima di continuare i lavori si deve mettere a posto”.
Gli investigatori sostengono inoltre che in una seconda occasione, a lavori già iniziati, Il professionista, sarebbe stato condotto ad un altro incontro, avvenuto in località Annà di Melito di Porto Salvo, dove ad attenderlo vi sarebbe stato sempre Minniti: “…noi siamo i referenti della zona” gli avrebbe riferito aggiungendo che “Per il vostro quieto vivere dovete darci il 4% dell’intero importo dei lavori relativo alla posa delle barriere e del rifacimento del manto stradale. Un’impresa come la vostra non è che mo’ si perde per 60 mila euro”.
Il geometra disse allora agli interlocutori che avrebbe informato subito i datori di lavoro e i due si allontanarono. A questo incontro era seguito il rifiuto di pagare: passate nemmeno 24 ore vicino alla ruota dell’auto in uso al responsabile del cantiere venne fatto trovare una bottiglia con dentro della benzina.
Nel frattempo, le indagini, avviate dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria, avrebbero portato fino agli indagati, sottoposti a fermo con un decreto del Pm per evitare la reiterazione del reato.
Quelle investigazioni avrebbero così dimostrato, ancora una volta, l’unitarietà della ‘ndrangheta: le cosche che operano in quella parte del territorio del “mandamento di Reggio”, infatti, avrebbero superato tutte le rivalità e si sarebbero suddivise capillarmente gli ambiti di intervento, arrivando addirittura a federarsi tra loro, presentandosi ai responsabili della società appaltatrici come un unico interlocutore.
Contestualmente ai provvedimenti di fermo, all’epoca i Carabinieri avevano anche effettuato il sequestro preventivo di 9 società, 22 beni immobili (tra appartamenti, fabbricati e terreni), 13 mezzi tra autovetture e mezzi d’opera, 25 tra conti correnti bancari, polizze assicurative ed altri prodotti finanziari, per un totale complessivo stimato in oltre 20 milioni di Euro.
Minniti, quindi, è stato prelevato da casa ed accompagnato presso gli uffici della Compagnia di Melito, diretta dal Capitano Gianluca Piccione, e da dove, una volta terminate le formalità, è stato trasferito nella Casa Circondariale del capoluogo, per rimanervi recluso per i prossimi sette mesi e mezzo. L’uomo era stato condannato ad una pena complessiva di 4 anni e 4 mesi e aveva già scontato 3 anni e mezzo di carcere.