Operazione Mandamento, altri 82 arresti: seconda stangata alle locali della jonica
Dopo il blitz del 4 luglio scorso che portò al fermo di 116 persone, i carabinieri hanno sferrato un altro duro colpo alle Locali di ‘ndrangheta del cosiddetto mandamento jonico eseguendo stamani altri 82 provvedimenti cautelari nei confronti di altrettante persone indagate (CLICCA E LEGGI I NOMI), a vario titolo, per diversi reati che vanno dall’associazione mafiosa, alla detenzione di armi e munizioni, alla turbativa d’asta, l’illecita concorrenza con violenza e minaccia, l’intestazione fittizia di beni, il riciclaggio, la truffa e la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e numerosi altri delitti collegati.
L’operazione è scattata all’alba di stamani quando i carabinieri del Ros, del Comando provinciale di Reggio Calabria e del Gruppo di Locri, col supporto dei Cacciatori di Calabria, su richiesta della Distrettuale Antimafia hanno dato corso alle misure tra il capoluogo dello Stretto ma anche a Vibo Valentia, Milano, Ancona, Bologna e Messina
LA SECONDA FASE DEL BLITZ DI LUGLIO
Il provvedimento, come dicevamo, rappresenta la seconda fase dell’operazione “Mandamento”, di una ventina di giorni fa, e scaturisce da una specifica richiesta dell’Ufficio di Procura che chiedeva la conferma dei provvedimenti cautelari conseguenti all’esecuzione dei fermi del 4 luglio.
I magistrati avevano difatti sollecitato l’applicazione delle misure restrittive a carico degli altri indagati che si ritiene siano inseriti nelle locali di Reggio Calabria, Sinopoli, Roghudi, Condofuri, S. Lorenzo, Bova, Melito Porto Salvo, Palizzi, Spropoli, S. Luca, Bovalino, Africo, Ferruzzano, Bianco, Ardore, Platì, Natile di Careri, Cirella di Platì, Locri, Portigliola, Saline, Montebello Jonico e S. Ilario.
Il Gip, esaminate le richieste e confermando la permanenza in carcere della quasi totalità dei soggetti già arrestati, ha adottato dunque un altro provvedimento che va a colpire quegli indagati per i quali non si era proceduto allora al fermo, non ricorrendone i requisiti di legge. A conclusione della questa prima fase dell’operazione, pertanto, gli arrestati sono in tutto 102.
IL PROFILO DEI TRE MANDAMENTI
La misura di oggi, così come il provvedimento precedente, sono il risultato delle indagini condotte dai militari su un ampio contesto investigativo di respiro nazionale e che, secondo gli inquirenti, farebbero emergere uno spaccato “approfondito e completo” delle dinamiche associative delle più importanti strutture territoriali della ‘ndrangheta che operano nei tre Mandamenti in cui è divisa la provincia reggina.
Oltre a numerosi capi ed esponenti di vertice di altrettante numerose Locali - tra le quali quelle Palizzi, Spropoli, Africo, Bianco, Ferruzzano, Ardore, Natile di Careri, Portigliona e S.Ilario - sono state censite numerose nuove ‘ndrine che eserciterebbero il controllo su porzioni di territorio anche distanti da quello in cui è insediata la Locale sovraordinata.
Gli investigatori fanno riferimento in particolare alle ‘ndrine Motticella (dipendente dalla Locale di Bruzzano Zeffirio), a quelle di Fossato, Molaro e Masella dipendenti dalla sovrordinata di Montebello Jonico e a quelle di Ardore Marina, Ardore Sopra (Superiore o centro), San Nicola e Schiavo dipendenti dalla Locale di Ardore.
LE DOTI E LE CARICHE: IL PRESTIGIO DEL “TREQUARTINO”
Ricostruite poi le attività di concessione delle cosiddette “doti” e “cariche”: i militari hanno monitorato anche il procedimento con cui la ‘ndrangheta attribuisce agli affiliati di rango già elevato la prestigiosa dote del “Trequartino”.
Un procedimento, questo, particolarmente significativo nelle dinamiche dell’organizzazione poiché ne fa derivare di fatto la designazione della futura dirigenza. Al conferimento registrato dai carabinieri vi hanno partecipato gli esponenti di vertice delle più importanti Locali dell’area: quelle di Africo, Bovalino, Siderno, San Luca, Platì e Natile Careri.
Sempre sotto il profilo dei meccanismi di funzionamento interni dell’associazione, particolarmente rilevanti sono gli aspetti emersi sulle modalità di gestione delle crisi da parte dell’organizzazione che, per evitare conseguenze giudiziarie negative, si sarebbe premurata di evitare scontri armati al suo interno.
I “TAVOLI DI TRATTATIVA” PER EVITARE LE FAIDE
In questo contesto, le indagini hanno consentito di monitorare le interazioni tra gli esponenti delle famiglia mafiose in lizza e la costituzione di “tavoli di trattative” tra le parti in causa e gli emissari designati dell’organizzazione. Oltre a queste situazioni di contrapposizione - che hanno riguardato in particolare la ‘ndrina di Masella e le Locali di Montebello Jonico, S.Ilario e Portigliola - è stato possibile verificare anche le attività di pacificazione della faida che, dal 1967, vedeva coinvolte le cosche Cataldo e Cordì, operanti nella Locale di Locri.
Gli inquirenti riferiscono che, sotto questo profilo, sia stato dato proprio un ordine certo alla gerarchia dei gradi delle “doti” e sia stato ricostruito l’apparato giurisdizionale di cui l’organizzazione si servirebbe per garantire da un lato il rispetto rigoroso delle regole e dall’altro sanzionare chi non rispetti proprio queste regole, devii.
LE INFILTRAZIONI NELLA PA, GLI APPALTI E LE ESTORSIONI
Le indagini hanno, poi, consentito di ricostruire numerosissime attività criminali, in particolare i condizionamenti e infiltrazioni della Pubblica amministrazione, gli appalti e una “pressante e sistematica” attività estorsiva nei confronti degli operatori economici del territorio.
A questo proposito vengono segnalate proprio le numerose richieste estorsive degli esponenti della Locale di Condofuri, che si ritiene diretta dai Pelle “Gambazza”, a vari imprenditori impegnati nei lavori di ammodernamento della tratta ferroviaria che ricadeva nel territorio di loro competenza.
Inoltre viene ricordato il caso dei presunti condizionamenti esercitati da Rosario Barbaro, detto “Rosi”, capo Locale di Platì, sugli operai del “Consorzio di bonifica dell’Alto Jonio Reggino” che sarebbero stati spesso impiegati per eseguire lavori edili di manutenzione nelle sue proprietà, mentre venivano pagati dal Consorzio per le opere di bonifica del territorio.
LE TRUFFE SUI CONTRIBUTI ALL’AGRICOLTURA
Un altro episodio si riferisce al coinvolgimento di esponenti delle famiglie Perre-Barbaro nella percezione indebita di contributi comunitari all’agricoltura, tra il 2009 e il 2013, e in truffe ai danni dell’Inps di Reggio Calabria, realizzate mediante presentando della falsa documentazione che attestava assunzioni temporanee di braccianti agricoli così da ottenere il pagamento di contributi previdenziali e di disoccupazione.
Con la collaborazione del Comando Carabinieri Politiche Agricole e Agroalimentari - Nucleo Antifrodi di Salerno, sono stati documentati numerosi casi di truffa aggravata per ottenere infatti soldi pubblici e commessi sempre presentando falsi documenti per ottenere i contributi erogati dall’Arcea (l’Agenzia Regione Calabria per le Erogazioni in Agricoltura).
I LAVORI PUBBLICI ALLE DITTE DELLE COSCHE
Secondo gli inquirenti, poi, sarebbero numerosi i casi di turbativa agli appalti pubblici di opere infrastrutturali, indetti dai Comuni di Platì e Careri e dalla Comunità Montana Aspromonte Orientale di Reggio Calabria: così si sarebbero favorite ditte controllate dalle cosche locali, “il tutto - spiegano gli investigatori - secondo logiche spartitorie dettate dagli equilibri mafiosi sul territorio tra le cosche Barbaro di Platì, Ietto-Cua-Pipicella di Natile e Pelle di San Luca”.
Attività di infiltrazioni sarebbero avvenute anche nella zona del Locrese negli appalti pubblici per il nuovo palazzo di giustizia, dell’ostello della gioventù, del centro di solidarietà Santa Marta e di istituti scolastici, e nella gestione di terreni pubblici o nell’assegnazione degli alloggi popolari.
Proprio in riferimento a quest’ultimo caso l’indagine ha consentito di accertare l’interesse della cosca Cataldo per controllare alcuni alloggi popolari di Locri.
COSCHE REGGINE “CENTRO PROPULSORE” DELLA ‘NDRANGHETA
L’esecuzione dell’ordinanza cautelare, nel completare la parte operativa dell’operazione Mandamento, avrebbe reso possibile "ricondurre ad un quadro omogeneo vicende ed articolazioni solo apparentemente isolate, contestualizzandole all’interno di uno scenario nel quale la ‘ndrangheta si afferma, ulteriormente, quale struttura unitaria, segreta, articolata su più livelli e provvista di organismi di vertice”.
Gli inquirenti sottolineano come, ancora una volta, si sia confermato come le cosche reggine, in particolare quelle del versante Jonico, “rimangano il centro propulsore delle iniziative dell’intera ‘ndrangheta, cuore e testa dell’organizzazione, nonché principale punto di riferimento di tutte le articolazioni extraregionali, nazionali ed estere”.
Sotto questo aspetto, l’operazione ha dunque inflitto un significativo colpo all’associazione, privandola di esponenti apicali e indebolendo le sue numerose articolazioni territoriali, anche grazie al sequestro preventivo di un cospicuo patrimonio costituito da 13 società e imprese e da un complesso immobiliare in corso di valutazione.