Attilio Bolzoni a Vibo: “La stampa antimafia? E’ un insulto”
La seconda giornata del festival Leggere&Scrivere ha ospitato la presentazione di Giornalisti in terre di mafia (Melampo), scritto dal giornalista di Repubblica Attilio Bolzoni. “Uno dei più grandi giornalisti”, così lo ha definito Arcangelo Badolati della Gazzetta del Sud che ha discusso con l’autore a palazzo Gagliardi di Vibo. Il testo è un riassunto degli articoli scritti da Bolzoni sul blog di Repubblica, per il cronista “in Italia il giornalismo cavalca l’onda, lavora in superficie senza approfondire” ha detto Bolzoni. “La stampa antimafia? È un insulto. Il nostro lavoro, invece, è di dare notizie che gli altri giornali nascondono o di arrivare prima dei magistrati”. Badolati si è soffermato poi sul “sistema montante”, la commistione tra mafia, politica e massoneria in cui dietro il nome della legalità confluivano o confluiscono interessi di “mafiosi, funzionari del governo, imprenditori, servizi segreti, giornalisti”, ha spiegato Bolzoni.
“Quando le grandi organizzazioni criminali si nascondono è più difficile raccontarle, meno sparano e meno finiscono sui giornali. Quando non "parlano" con il linguaggio delle armi, uccidendo, organizzando stragi e attentati, le mafie è come se non ci fossero. Vengono riconosciute solo quando non portano la maschera” ha detto l’autore. La riflessione si è soffermata anche sul linguaggio delle cosche e sulle figure che hanno caratterizzato la mafia siciliana. “La mafia dopo l’uccisione del generale Dalla Chiesa non esiste”, ha detto Bolzoni. “Ma dopo il Maxiprocesso e le stragi la mafia è tangibile, viene anzi considerata schifosa. La Cupola in galera e i familiari marchiati. Quindi è stato fatto un buon lavoro, mai fatto prima. Ma i poteri altri, i mandanti a volto coperto, rimarranno sempre anonimi. Forse neanche gli esecutori materiali delle azioni criminose ne conoscono i nomi”.
Per Bolzoni, Mattia Messina Denaro “non è un capo che governa il territorio” come i corleonesi. Il latitante più ricercato d’Europa, dal 1993, non avrebbe la “stoffa” per ricoprire il ruolo di capo dei capi. La discussione si è poi spostata su Tommaso Besozzi, De Mauro, il poliziotto Ninni Cassarà, i magistrati Falcone e Borsellino. “La retorica ha stravolto le figure di Falcone e Borsellino”, ha detto il cronista siciliano sui magistrati uccisi insieme alla scorta nel 1992 a soli 56 giorni di distanza, aggiungendo poi: “Li hanno seviziati fin quando sono stati seppelliti. Se ne parla a sproposito, si intitolano strade e campetti. E alcuni procuratori si sentono come loro ma negli anni sono stati fatti danni”.