Leggere&Scrivere, il racconto del reporter Marco Lupis tra gli orrori della guerra
Marco Lupis, più di 10 anni di corrispondenze per Il Tempo, La Repubblica, L’Espresso, Panorama, Il Corriere della Sera, la Rai, ha raccolto le esperienze vissute da reporter “in” guerra, come ama definirsi, in un volume edito da Rubbettino, “Il male inutile”, che è stato presentato al Festival Leggere&Scrivere di Vibo con il contributo del direttore de Il Vibonese Stefano Mandarano.
Pagine dalle quali emerge lo sguardo lucido ma compassionevole del giornalista-testimone, e nelle quali trovano spazio le guerre dimenticate, oggetto di un’opera di rimozione collettiva. Crimini rimasti impuniti che attendono una verità storica che in molti casi deve ancora essere scritta. E proprio ad un volume di storia contemporanea è assimilabile la fatica letteraria di Lupis: testimonianze sul mestiere dell’inviato di guerra che diventano lo spaccato di passaggi epocali per intere popolazioni e per le sorti delle nazioni.
Ci sono il Sud Est asiatico e l’estremo Oriente, che Lupis ha raccontato da corrispondente con base ad Hong Kong: da Timor est alle Filippine, dalla Cambogia al Tibet; e c’è il Centroamerica con l’incontro, nella Selva Lacandona in Messico, con il subcomandante Marcos, da primo giornalista italiano ad intervistare il leader dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale, «un Che Guevara dei nostri tempi».
Ma ci sono anche le guerre alle porte di casa nel Kosovo e gli atroci crimini - dimenticati - dei giapponesi nella Seconda guerra mondiale. Lupis ne parla con estremo realismo, racconta i misfatti più atroci di cui l’uomo è stato capace con lucidità ed empatia, catturando l’attenzione di una platea composta in massima parte dagli studenti dell’Itg e di altre scuole vibonesi. Parla dei rapporti umani che la guerra dilata, esasperandoli all’infinito, di quella paura «campanello d’allarme» che un reporter prova quando si trova in mezzo al fuoco incrociato ed è spesso considerato un ulteriore nemico da abbattere affinché la verità resti nascosta, della "sottile linea rossa" che non bisogna mai oltrepassare se si vuole portare a casa la pelle. Porta alla luce storie e varia umanità. Soprattutto quelle degli “angeli all’inferno”, del bene che anche nei contesti di estrema drammaticità trova uno spiraglio per emergere.
Come le suore italiane che a Timor hanno rischiato e in qualche caso perso la vita per portare beni di prima necessità ai cattolici perseguitati dal regime indonesiano asserragliati nella foresta; o come la vecchietta che, nell’inferno del "regno dei pedofili” di Svay Pak, in Cambogia, prendeva con sé e proteggeva i "piccoli fiori" oggetto dell’immonda tratta.
“Ho scelto di raccontare gli orrori che ho visto con i miei occhi - ha detto l'autore -, conflitti e massacri che potremmo definire dimenticati, affinché nessuno possa dire che non sono mai accaduti e dare così un contribuito nella ricerca della verità”. Quegli orrori che sono infine tornati a bussare alla sua porta, quando Lupis ha scelto di “appendere il giubbotto antiproiettile al chiodo” per dedicarsi alla scrittura “ritirandosi” a Grotteria, sulla jonica reggina, nell’antica dimora di famiglia.
Sindrome da stress post traumatico la diagnosi clinica, per un disturbo comune a reduci e reporter di guerra e che ha portato tanti all’insano gesto. Lupis ne è uscito anche grazie al suo libro, in una sorta di terapia che l’ha aiutato a scacciare i fantasmi del passato e a chiamare le cose con il proprio nome e il male “inutile”. Inutile come ogni guerra.