Dal business della coca ai ristoranti: il profilo europeo della ‘ndrangheta connection
Italia, Germania, Paesi Bassi e Belgio. Un business quello della droga, della cocaina in particolare, che varcava i confini della Calabria, “casa madre” della ‘ndrangheta, superando il Pollino, sorvolando le Alpi e giungendo nel ricco Nord Europa; varcando addirittura l’oceano per arrivare nel Sud America e approvvigionare il famelico mercato degli stupefacenti.
Un giro per il mondo, milionario, stroncato oggi con l’Operazione dal nome tutto di respiro internazionale: “European ‘ndrangheta connection”.
Un duro colpo inflitto all’organizzazione calabrese, alle sue proiezioni in Europa e in America latina, nel quadro di un’organica ricostruzione delle molteplici attività criminali di suo interesse. Un’inchiesta che ha raggiunto diversi esponenti delle più pericolose e storiche famiglie mafiose il cui cuore pulsante batte nel cuore della Locride.
LA COSTITUZIONE DEL JOINT INVESTIGATION TEAM
L’operazione di oggi è il frutto di anni di un intenso lavoro investigativo svolto da una Squadra Investigativa Comune (un cosiddetta Joint Investigation Team) costituita nell’ottobre del 2016, a L’Aia (nei Paesi Bassi), presso l’Eurojust e composta da magistrati e organi di polizia delle tre nazioni interessate.
Fra questi le la Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria con il supporto della Procura Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo, la Squadra Mobile dello Stretto, lo Sco della Polizia di Stato, il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Catanzaro, con il supporto del Servizio Centrale d’Investigazione sulla Criminalità Organizzata delle fiamme gialle ed il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria sempre della Gdf.
Per la Germania la Procura di Duisburg e il Bundeskriminalamt (B.K.A.) di Wiesbaden, per i Paesi Bassi la Procura di Zwolle e il F.I.O.D. (il Corpo olandese di polizia fiscale ed economica) di Eindhoven.
Un accordo tra le polizie europee ampliato poi con l’ingresso dell’Europol, per i profili d’analisi e coordinamento, e lo specifico apporto di Belgio e Svizzera, come membri osservatori e cooperanti, in base ad accordi di natura rogatoriale.
IL RECICLAGGIO NEI RISTORANDI DEL NORD EUROPA
La costituzione del J.I.T. si è dunque rivelato un tassello di cooperazione decisivo nella gestione delle indagini e nella condivisione del patrimonio informativo e probatorio acquisito nel corso delle attività svolte nei diversi Paesi membri, e sotto questo profilo l’attività di coordinamento internazionale svolta dal Desk Italiano presso Eurojust è stata preziosissima.
L’obiettivo della Squadra Investigativa è stato quello di perseguire un gruppo ‘ndranghetista impegnato appunto nel traffico internazionale di stupefacenti e nel riciclaggio e reinvestimento di rilevati capitali finanziari.
All’interno dell’organizzazione spiccano le figure di Giovanni Giorgi (cl. 1966), originario di Bovalino, che secondo gli inquirenti avrebbe rappresentato il principale punto di riferimento delle cosche prevalentemente di San Luca (i Pelle-Vottari e Romeo) ma anche di Natile di Careri (i Cua-Ietto) e di Gioiosa Jonica (tramite gli Ursini), per il reinvestimento di capitali illeciti in attività commerciali nel settore della ristorazione nel nord Europa.
GIORGI E GLI INVESTIMENTI IN OLANDA E GERMANIA
L’inchiesta “European ‘ndrangheta connection” dimostrerebbe che Giorgi si sarebbe occupato, prima sul territorio olandese e poi su quello tedesco, di investire delle ingenti somme di denaro in attività commerciali nel lucroso settore della ristorazione, fungendo, quindi, da “collettore per l’investimento” dei proventi derivanti dagli affari criminali per conto di numerosi soggetti, molti dei quali ritenuti far parte di diverse cosche di ‘ndrangheta dell’area ionica reggina.
Quest’ultimi, in questo modo, sarebbero così divenuti “soci occulti” delle attività commerciali riconducibili a Giorgi. Tra questi il ristorante “La Piazza 3” e l’adiacente gelateria “Cafè La Piazza” di Brüggen (in Germania), che per gli investigatori sarebbero stati, tra l’altro, la sede di supporto logistico ai traffici della cocaina proveniente dall’America Latina, poi stoccata tra Olanda, Belgio, Germania e infine distribuita - tra l’altro - in diverse regioni italiane.
LE BASI LOGISTICHE IN ITALIA, GERMANIA E PAESI BASSI
Nello del traffico internazionale di droga, l’inchiesta consentirebbe dunque di far luce su una agguerrita consorteria calabrese in grado di contare su basi logistiche dislocate in più regioni della Penisola ma anche, e soprattutto, nei Paesi Bassi e in Germania.
Una struttura ben organizzata ed economicamente florida, composta da numerosi accoliti e dotata di una vera e propria flotta di mezzi necessari per far giungere a destinazione la cocaina.
In questo contesto, sarebbero emersi esponenti delle cosche dei Pelle-Vottari, Romeo alias “Stacchi” e Giorgi “Ciceri” di San Luca, molti dei quali già da anni stabilmente residenti in Nord Europa, luoghi da dove coordinavano agevolmente grosse importazioni di cocaina dall’America Latina, senza mai allentare i rapporti con la Calabria.
Tra i personaggi considerati di vertice spiccano nomi blasonati nel panorama del traffico internazionale di stupefacenti: i fratelli Giuseppe (già latitante) e Francesco Marando, originari di Locri; Josè Manuel Mammoliti; Giovanni Classe Giorgi (’63); Antonio Costadura, alias “U Tignusu; Domenico Romeo alias “Corleone”; Francesco Luca Romeo; Sebastiano Romeo; Domenico Strangio.
LA DROGA IN TRANSITO NEI PORTI DI ANVERSA E ROTTHERDAM
Soggetti tutti che sarebbero stati deputati alla pianificazione delle importazioni ed al successivo smistamento della droga sul territorio nazionale, in particolare in Calabria e Lombardia, operando in un’ottica “prettamente aziendale”, spostando i loro interessi in Nord Europa, dove risulta più agevole ed economicamente vantaggioso procurarsi ingenti carichi di cocaina in arrivo direttamente dai Paesi produttori sudamericani, principalmente, nei sedimenti portuali di Anversa e Rottherdam.
Il compito di recuperare e modificare ad hoc numerose autovetture, dotate di complicatissimi doppifondi, così da renderle praticamente “impermeabili” ai normali controlli su strada da parte Forze di Polizia, sdarebbe stato poi affidato a un gruppo di pregiudicati turchi da anni trapiantati in Germania, dove gestivano un autonoleggio, mentre il traporto del narcotico in Italia veniva delegato a fidati ed esperti corrieri che raggiungevano la Calabria e la Lombardia: qui la coca veniva così immessa in commercio.
LE INTERCETTAZIONI, LE “TESTE DI LEGNO” E I SEQUESTRI DI COCA
Grazie ad un’sfrutintuizione investigativa di fondamentale importanza, che ha consentito ai finanzieri ed ai poliziotti di ascoltare in Italia le conversazioni captate in territorio tedesco, ed in diretta, sfruttando degli appositi server in dotazione al BKA, e nonostante le accortezze dei trafficanti, dal mese di marzo al mese di giugno 2017 sono tati infatti sequestrati oltre 33 kg di cocaina (nel corso di tre distinti interventi svolti in Italia ed in Svizzera) con l’arresto in flagranza di tre corrieri.
Dallo scambio informativo con il Fios olandese è stato possibile inoltre ricostruire un episodio criminale, risalente al 2015.
In pratico, il sodalizio,
tando una ditta costituita ad hoc ed intestata ad una “testa di legno”, avrebbe tentato di importare, con la complicità di trafficanti di Guyana e Suriname, un carico di cocaina di 95 kg, sequestrato nel porto di Rotterdam.
GLI ARRESTI IN ITALIA: IN 70 TRA CARCERE E DOMICILIARI
Per quanto riguarda l’Italia, il Gip di Reggio Calabria - concordando pienamente con le risultanze investigative esposte in una corposa richiesta di misure cautelari avanzata dalla Direzione Distrettuale Antimafia dello Stretto - ha emesso tre distinte ordinanze d’arresto sia in carcere che ai domiciliari di 70 persone, ritenute responsabili a vario titolo di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, associazione mafiosa, riciclaggio, intestazione fittizia di beni ed altri reati aggravati sempre dalle modalità mafiose.
Quanto agli altri Stati, il BKA tedesco procederà all’arresto di 10 soggetti, di cui sono colpiti anche dall’ordine d’arresto in Italia.
Si tratta di Serkan Bilgici, nato a Bonn (Germania) nel 1980: Halil Bozkurt, nato a Mersin (Turchia) nel 1980; Giovanni Giorgi, nato a San Luca nel 1963; José Manuel Mammoliti, nato a Cinquefrondi nel 1989, Giuseppe Marando, nato a Locri nel 1985 e Tekin Kemal, nato a Colonia (Germania) nel 1984.
Le Autorità tedesche hanno emesso dei provvedimenti in carcere anche nei confronti dei calabresi Bruno Giorgi, nato a Duisburg (Germania) nel 1978 e Francesco Giorgi, nato a Locri nel 1985; entrambi indagati per traffico di droga. Francesco Giorgi, presente attualmente in Italia, verrà arrestato sulla base di un mandato d’arresto europeo (M.A.E) emesso dall’A.G. tedesca.
La polizia Olandese aderente al JIT, procederà invece all’arresto di sette persone, fra cui Giovanni GIORGI (cl. 1966), che dovrebbe trovarsi a Tegelen, al confine tra Olanda e Germania, e colpito dal M.A.E. emesso dall’A.G. italiana.
Quanto alla Polizia Belga, infine, coopera nell’esecuzione di 3 mandati d’arresto europei emessi in Italia nei confronti di Antonio Calogero Costadura, Stefano Scalia e Domenico Strangio (cl. 1989), e procederà all’arresto di altri 9 soggetti indagati nell’ambito di indagini autonome delle autorità belghe.
Tra i soggetti colpiti figura quello che è ritenuto con un noto narcotrafficante, Antonio Ietto (zio di Giuseppe e Francesco Marando), già finito in arresto a Colonia il 3 agosto del 2016, dopo un lungo periodo di latitanza.
Nei suoi confronti, nel corso delle indagini, sono stati acquisiti degli elementi di presunta responsabilità in merito alla pianificazione, poco prima della sua cattura, di un ingente narcotraffico di centinaia di chilogrammi di stupefacenti.
Stesso rilievo assume l’aver azzerato un consolidato gruppo di campani, che sarebbero stati in rapporto di stretta collaborazione con le famiglie della Locride e che nel corso del tempo sarebbe stato capace di organizzare e gestire importanti carichi di cocaina in arrivo dal Sud America.
I NARCOS CHE INONDAVANO DI COCAINA E IL “FILONE” CAMPANO
Soffermandosi proprio sulle importazioni in Europa di grossi quantitativi di coca, è emerso un gruppo di potenti narcotrafficanti che dai paesi produttori avrebbero fatto giungere sulle piazze europee massicce quantità di cocaina.
Aumentando il potere di penetrazione investigativa, grazie ad una sinergica collaborazione con la Dea, l’agenzia antidroga americana, è stato possibile anche svelare dei i rapporti delle cosche di ‘ndrangheta con alcuni soggetti campani, già indagati nell’ambito di un distinto fascicolo processuale, tra i quali la pluripregiudicata Maria Rosaria Campagna, compagna del boss della mafia siciliana Salvatore Cappello, indiscusso capo dell’omonimo clan di Catania, ed i fratelli Serafino e Giulio Fabio Rubino.
Secondo gli inquirenti, questi soggetti campani avrebbero sin da subito rivelato un’enorme disponibilità economica da investire nel narcotraffico, riuscendo ad importare dal Sudamerica centinaia di chili di cocaina.
Serafino Rubino, già latitante in Colombia per altre vicende legate agli stupefacenti, ed arrestato proprio in Sudamerica grazie al proficuo scambio informativo con la Dea, avrebbe curato - da esperto broker - i rapporti con i Cartelli colombiani.
Il fratello Giulio Fabio avrebbe invece coordinato le attività in Campania e la “donna di Napoli”, la Campagna appunto, avrebbe mantenuto i rapporti con più consorterie, anche per garantire lo “scarico” della cocaina in più porti sia italiani che europei.
La sinergia criminale tra questi soggetti sarebbe emersa quando un carico di circa 60 kg. di cocaina giunse nel porto di Gioia Tauro e la Campagna si sarebbe affidata ai potenti sodali calabresi per recuperare la partita di narcotico.
LA “MUTUA ASSISTENZA CRIMINALE” TRA CAMPANI E CALABRESI
Grazie poi al continuo scambio info-investigativo tra le forze di Polizia, la Guardia di Finanza e la Polizia di Stato, si sarebbe riusciti a ricostruire l’intero affare illecito, conclusosi con il sequestro di oltre 57 kg di coca effettuato dai finanzieri di Gioia Tauro nel novembre del 2016.
In una sorta di “mutua assistenza criminale” – così come la definiscono gli inquirenti - in una occasione successiva saranno, invece, i calabresi avrebbero tentato di sfruttare le “conoscenze” della Campagna per recuperare una partita di droga dirottata in Grecia.
Nel tempo, i campani collegati alle cosche di ‘ndrangheta si sarebbero dimostrati tanto potenti economicamente da non accusare i durissimi colpi assestati dagli inquirenti: basti pensare che, in un arco temporale relativamente ridotto, sono stati sottratti dalla disponibilità dei criminali oltre 360 kg di stupefacente.
Nel dettaglio, oltre al sequestro nel porto di Gioia Tauro di cui parlavamo prima, il primo imponente riscontro lo si sarebbe ottenuto quando le Autorità panamensi, nell’aprile del 2016, sequestrarono 129 kg di cocaina, destinati al porto di Napoli.
“Nonostante l’ingente perdita - spiegano gli investigatori - ben presto, viene predisposto un nuovo progetto, teso ad importare la cocaina dal Sudamerica, questa volta attraverso un porto del Nord Europa”.
Proprio la Campagna, accompagnata dal figlio Salvatore Santo Cappello, sarebbe andato in Olanda per organizzare l’esfiltrazione della droga.
Nel frattempo gli investigatori avevano però individuato il container “contaminato” che venne dirottato dall’Olanda al Belgio per lo sdoganamento.
Malauguratamente per i trafficanti, i militari del Nucleo Pef dei Gico, per il tramite della Direzione Centrale dei Servizi Antidroga, avevano attivato le autorità belghe che, il 25 gennaio del 2017, ritrovarono nel porto di Anversa quasi 170 kg di cocaina stipati in un container.
In ultimo, nell’aprile del 2018 ci fu l’ultimo sequestro: 7 kg di cocaina che i narcos avevano tentato di far arrivare in Italia, questa volta facendoli sbarcare nel porto di Livorno.
Il sequestro in Toscana sarebbe così l’ulteriore conferma delle enormi potenzialità degli indagati che, con facilità estrema curavano l’importazione di massicce quantità di cocaina dal Sudamerica e che con altrettanta abilità, riuscivano a trovare in più porti quello che nel gergo dei narcos viene definito come “scarico”, ovverosia la possibilità di far uscire la droga dal sedimento portuale d’arrivo grazie ad “agganci” locali utili allo scopo.
GLI INIZI DELLE INDAGINI
Le indagini sono partite nei primi mesi del 2015 con l’avvio di diverse attività tecniche da parte della Polizia di Stato nei confronti di diversi soggetti - residenti anche in Nord Europa - tra i quali figuravano Francesco Pelle (figlio del latitante Antonio Pelle), Giuseppe Marando, i fratelli Sebastiano e Francesco Luca Romeo e Giovanni Giorgi.
Quest’ultimo, sebbene senza precedenti specifici, avrebbe avuto dei continui rapporti con esponenti della ‘ndrangheta ionico-reggina, tra cui Antonio Ietto (all’epoca latitante), genero di Sebastiano Giorgi, capo dell’omonima famiglia sanluchese detta “Ciceri”.
Nel 2016, le investigazioni condotte in Italia e Olanda con l’apporto sul fronte patrimoniale del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria (N.S.P.V.) della Guardia di Finanza reggina, avrebbero fatto emergere variegati interessi commerciali di Giovanni Giorgi a Brüggen (in Germania), in cui stava avviando numerose attività nella ristorazione.
Una prospettiva che permise di allargare subito il fronte d’indagine, coinvolgendo nell’inchiesta anche magistratura e polizia tedesche.
Contemporaneamente, nell’ambito dell’indagine antidroga “Hermes”, si stava investigando su un gruppo criminale della Locride attivo nel traffico di stupefacenti (gli Ietto-Marando), i cui esponenti principali sarebbero emersi anche nelle attività investigative della Polizia di Stato.
LE PROIEZIONI EUROPEE DEI CLAN REGGINI
Proseguendo le indagini, il lavoro congiunto avrebbe permesso così di definire le proiezioni delle cosche reggine dei Pelle-Vottari e Cua-Ietto in Olanda e nell’area tedesca della Renania settentrionale-Westfalia, documentando le strategie di traffico internazionale di stupefacenti, del riciclaggio e reimpiego di beni di provenienza illecita nel settore immobiliare e della ristorazione (ristoranti, pizzerie, bar) nelle aree di confine tra Paesi Bassi e Germania, con espansioni in territorio belga.
Nello stesso contesto, l’intercettazione telematica avviata sullo smartphone di Domenico Pelle, nell’ottobre del 2016, consentì alla Squadra Mobile di Reggio Calabria arrestare il padre, il noto latitante Antonio detto Vancheddu, che si trovava proprio nel cuore della locride da dove gestiva attivamente anche i traffici di stupefacenti verso il Nord Europa.
Contestualmente, si documentarono i viaggi che Domenico Pelle fece in Brasile per incontrare esponenti dei cartelli del narcotraffico, con i quali avrebbe pianificato e definito le trattative per l’invio in Italia di una partita di cocaina, sequestrata il 24 marzo 2017 (25,66 kg) nel porto di Gioia Tauro, successivamente agli altri sequestri, eseguiti in rapida successione, sempre nello scalo calabrese, il 15 novembre 2016 (57 kg) e di cui già si è detto, e il 17 novembre 2016 (15,67 kg).
In tale variegato contesto, le indagini porterebbero alla luce le presunte responsabilità di numerosi altri personaggi ritenuti di spicco della cosca Pelle, tra cui l’allora latitante Antonio, il fratello Domenico e suo figlio Giuseppe; e poi di Giovanni e Andrea Gentile, Sebastiano Strangio, Giuseppe Pipicella, Salvatore Pacino, Giovanni Grasso, Antonio Calogero Costadura e Maria Rosaria Campagna.
Secondo gli inquirenti quest’ultimo aspetto confermerebbe il dato, “ormai storicamente consolidato”, di una proficua ed attuale “saldatura criminale tra le cosche della ‘ndrangheta calabrese e i clan mafiosi di altre aree”, i quali tuttora opererebbero insieme per l’approvvigionamento di cocaina e cannabis nei rispettivi territori di competenza.
IL “NUCLEO ESSENZIALE” DEGLI AFFARI DEI PELLE-VOTTARI
L’indagine dimostrerebbe come il nucleo essenziale degli affari illeciti della cosca Pelle-Vottari risieda nel traffico internazionale di stupefacenti.
Un assunto che troverebbe riscontro in una conversazione del 18 novembre del 2016, in cui il giovane Domenico Pelle discuterebbe con Giovanni Gentile dell’importazione dei circa 57 Kg di cocaina giunti dal Sudamerica, finanziati in parte dalla famiglia Pelle.
In questa circostanza, mentre i due ragionavano sull’organizzazione iniziale del traffico, Giovanni Gentile avrebbe chiesto a Domenico Pelle sulla paternità del traffico di stupefacente, per poi sottolineare esplicitamente, ancora, che i maggiori promotori sarebbero stati il narcotrafficante e broker Antonio Calogero Costadura e Antonio Pelle, padre di Domenico:
“…Si però quello che ti voglio dire io scusa... Il lavoro di chi è?...” “... Il suo?...” “…Di tuo padre?...”), replicando Pelle Domenico in senso affermativo (“…Eh!...”)”.
L’INTRICATA RETE DI SMERCIO
Di pari passo, le attività svelerebbero una intricata rete di smercio della cocaina che Antonio pelle e i suoi sodali avrebbero impiantato in Italia, cedendo numerose partite di droga anche ad esponenti di altri clan della locride, tra cui quella dei “Barbrao” di Platì.
Le risultanze acquisite durante le investigazioni consentono poi di contestare il reato di associazione mafiosa, con diversificati ruoli di partecipazione alla ‘ndrangheta, ad Antonio, Domenico (cl. 1992) e Domenico (cl. 1950) Pelle, così come a Francesco e Giuseppe Pelle (cl. 1981), Antonio Zappia, Giovanni Giorgi, Sebastiano e Francesco Luca Romeo.
“L’estrema pericolosità della cosca Pelle-Vottari, comprovata dalla faida con gli Strangio-Nirta, riesplosa con la strage di Duisburg del ferragosto 2007 – sostengono gli inquirenti - è ulteriormente dimostrata, oggi, dalla disponibilità di arsenali di armi, come accertato nel corso delle attività tecniche disposte nell’ambito delle indagini”.
Altro aspetto saliente dell’indagine viene rinvenuta nel progressivo tracciamento degli interessi finanziari delle famiglie “Pelle-Vottari” e “Romeo” di San Luca, che - al pari di Giuseppe Marando (altro esponente ‘ndranghetistico di rilievo) – avrebbero affidato a Giovanni Giorgi il reinvestimento di una parte dei propri capitali illeciti nel settore della ristorazione estera.
LE PROIEZIONI IN OLANDA E RENANIA SETTENTRIONALE-WESTFALIA
Il lavoro svolto nell’ambito di complesse investigazioni internazionali dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria e, per la parte di specifica competenza, dal Gruppo del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria dello Stretto, come accennavamo avrebbe permesso di definire le proiezioni delle cosche Pelle-Vottari e Cua-Ietto in Olanda e nell’area tedesca della Renania settentrionale-Westfalia, documentando le strategie relative al traffico internazionale di stupefacenti, al riciclaggio e reimpiego di beni di provenienza illecita nel settore immobiliare e della ristorazione nelle aree di confine tra Paesi Bassi e Germania, con espansioni in territorio belga.
Le indagini finanziarie e gli accertamenti economico-patrimoniali svolti dal Nucleo di Polizia Valutaria hanno quindi consentito di individuare dei cespiti immobiliari e attività commerciali acquisiti dagli indagati in Italia, Germania e Olanda per i quali il Gip ha disposto il sequestro preventivo, sia come beni “direttamente strumentali alle condotte criminali, sia quali beni di cui gli indagati disponevano in sproporzione rispetto ai redditi leciti prodotti”.
Le verifiche patrimoniali sono state effettuate utilizzando l’applicativo “Molecola” e con l’ausilio informativo della banca dati SIVA, in relazione a diverse segnalazioni di operazioni sospette che risultavano sul conto dei soggetti investigati.
In questo contesto spicca ancora la figura del già citato Giovanni Giorgi, titolare di diverse attività commerciali e di ristorazione a Wesseling e Brüggen, considerate il “perno centrale” della strategia attuata in modo unitario dalle cosche di San Luca.
Si tratta per gli inquirenti “di una conferma paradigmatica dell’operatività transnazionale delle ‘ndrine calabresi che, per la prima volta, viene consacrata in una indagine di respiro internazionale”
LA VICENDA DEI FRATELLI “CIVAS” E “ZUCCHERO”
A dimostrazione della grande capacità pervasiva all’estero della ‘ndrangheta e della sua pericolosità sociale, viene riportato un brano di una intercettazione in cui Domenico Pelle raccontava un aneddoto riguardante i fratelli “Civas” e “Zucchero”, identificati come Francesco e Sebastiano Strangio.
Quest’ultimi, durante una serata trascorsa in un night di Amsterdam, avevano iniziato a sparare, facendo fuggire i clienti presenti.
Proprio in quel momento, sarebbe arrivato nel locale lo zio di Domenico Pelle, Santo Vottari, già latitante ed esponente dell’omonima famiglia, in compagnia di uno o più soggetti.
Questi, riconoscendo i due fratelli e disapprovando il loro comportamento, avrebbe tranquillizzato il proprietario del locale promettendogli che sarebbero stati risarciti tutti i danni causati dai due Strangio:
“…Sono entrati in un night bum, bum, bum, bum ...incomp...tutti che scappano, hanno cominciato a scappare anche loro... Come vanno per scappare nel ...incomp... con questo pazzo che ancora ce l'aveva in mano… E voi cosa fate qua? Dice che appena li ha visti si è spaventato… Si è vergognato non spaventato, si è vergognato, torna indietro va dal proprietario vedi che domani sera vengono degli amici vedi che tutto pagato che pago io gli ha detto, è salito in macchina ed è corso via… Ha detto mio zio Santo, noi ci siamo vergognati”.
I SEQUESTRI
Contestualmente al blitz il Gip ha disposto il sequestro preventivo di numerosi beni direttamente riconducibili a Giovanni Giorgi e che verrà eseguito con il diretto concorso delle autorità tedesche.
Colpiti dal provvedimento la Rigano Im-& Export GmbH di Düsseldorf, società che sarebbe stata creata per il traffico internazionale di droga, essendo emerso che la stessa sarebbe stata costituita al precipuo scopo di rappresentare uno strumento di copertura per l’importazione di cocaina dal Sudamerica (da parte del gruppo Ietto-Marando).
Le quote della società “AFG Gastronomie GmbH”, che ha gestito il ristorante “il Pettirosso” ex Leonardo da Vinci considerato come la base logistica e di incontro di molti dei componenti dell’associazione oltre che come espediente per il reinvestimento dei guadagni (gruppo Ietto- Marando);
Le quote societarie de “La Piazza 3 Gastronomie GMBH”, di Brüggen (Germania), di proprietà di Giorgi e quote societarie de “La Piazza 3 Gastronomie GMBH”, con sede a Brüggen (Germania), di proprietà di Rocco Jerinò, ritenuta oggetto di operazione di intestazione fittizia.
L’Intero complesso aziendale del Bar - gelateria “Cafè La Piazza U.G di Brüggen”, essendo emersa una operazione di fittizia intestazione: secondo l’accusa l’effettiva proprietà della società sarebbe appartenuta a diversi altri soggetti (dei Pelle, Strangio, Romeo e Marando), che avrebbero investito somme di denaro in questa attività, insieme all’amministratore delegato Giovanni Giorgi.
In Italia i sequestri hanno interessato poi 14 auto e 4 ciclomotori, quote societarie, diversi terreni, fabbricati e la villa di Giorgi a Bovalino.
I RISTORANTI E I BAR E GLI “INCROCI” D’AFFARE
In relazione all’investimento a Brüggen, ovvero il ristorante La Piazza 3 Gastronomie Gmbh, Giorgi divenne socio ufficiale della famiglia Ursini/Jerinò, quest’ultima rappresentata formalmente da Rocco Jerinò, figlio di Domenico Antonio, a sua volta genero di Santa Ursini, entrambi destinatari, a diverso titolo, di un decreto di fermo nell’ambito dell’Operazione “Typographic” della Dda di Reggio Calabria con le accuse di usura ed abusiva attività finanziaria, aggravati dal metodo mafioso.
Proprio quest’ultima avrebbe investito in prima persona il denaro nell’attività ed incontrato personalmente Giovanni Giorgi per discutere del progetto imprenditoriale da lei finanziato e portato avanti dallo stesso Giorgi che si sarebbe occupato di tutto, dall’allestimento, al reperimento del personale, alla gestione delle pratiche amministrative, commerciali e bancarie.
Le indagini avrebbero permesso di appurare come all’investimento avessero partecipato in modo occulta anche i nipoti di Giorgi, Sebastiano e Francesco Luca Romeo. La loro presenza nel ristorante è riscontrata in diverse intercettazioni così come il loro effettivo interesse nell’attività.
Il percorso de La Piazza 3 Gastronomie Gmbh si è incrociato, dopo poco tempo, con quello del Cafe’ La Piazza U.G., uin bar gelateria costituito in una posizione attigua al ristorante. Quest’ultimo investimento rappresenterebbe uno spaccato significativo del ruolo rivestito da Giovanni Giorgi per la criminalità organizzata calabrese.
Nella gelateria, in cui Giorgi risultava in origine amministratore, lo stesso si sarebbe occupato di tutto, e a lui tutti i soci “occulti” di volta in volta emersi si sarebbero affidati, anche quando non sarebbero stati del tutto d’accordo con le scelte da lui stesso fatte, come nel caso di Giuseppe Marando.
Questo affidamento, secondo gli investigatori, sarebbe probabilmente “frutto della riconosciuta capacità di Giorgi di celare la vera natura delle attività commerciali avviate dalla ‘ndrangheta, nonché l’attitudine ad effettuare truffe alle assicurazioni (con la possibilità quindi di ripulire ulteriormente l’illecito capitale investito attraverso la liquidazione dei sinistri), ma anche nella capacità di reperire soggetti da utilizzare quali prestanomi per le società”.
IL FINTO DANNEGGIAMENTO E LA TRUFFA ALL’ASSICURAZIONE
Al riguardo, Antonio Calogero Costadura e Domenico Romeo, su espresso mandato di Giovanni Giorgi, avrebbero danneggiato volontariamente il ristorante la Piazza 3 e la gelateria di Brüggen, beni assicurati e di cui Giorgi era comproprietario (de la Piazza 3) e amministratore delegato e socio occulto (del Cafè La Piazza).
La tesi è che fosse stato fatto per permettergli di presentare alla polizia tedesca una falsa denunzia di danneggiamento e così ottenere il risarcimento dalla società di assicurazione, da suddividere poi fra gli esecutori, lo stesso Giorgi, il nipote Sebastiano Romeo ed altri.
Proprio Domenico Pelle avrebbe infatti commentato l’attitudine truffaldina di Giorgi (detto “Gianni da mamma”):
“Ragazzi vedete che imbro... Vedete che... Tu no... Tu lo conosci? Vedi che è un imbroglione... Un imbroglione che Dio ce ne li...”
Una frase che spiegherebbe il modus operandi di Giorgi in relazione all’apertura di ristoranti in Olanda: una volta comprato il locale, dopo averci guadagnato, lo avrebbe assicurato contro furto e incendio:
“Apre il ristorante 60.000 (sessantamila) euro, se lo prende, se lo paga, se lo strapaga, contropaga, lo assicura furto e incendio, là come va?”) per poi proseguire con i danneggiamenti dolosi e l’incasso del risarcimento assicurativo (“Prende fuoco... Fuoco, un poco di fumo, 300.000 (trecentomila) euro di danni...”.
Pelle, inoltre, con riferimento al rimborso assicurativo, avrebbe precisato:
“Lo aggiusta, glielo vende ad un tedesco per 280 (due e ottanta), ad un Tedesco... Ad un Olandese per 280 (due e ottanta)... L'olandese dopo... Dopo sei mesi si è arreso...” e poi “E ...inc... e lo ha venduto di nuovo a Gianni per 200”.
Sarebbe stato inoltre documentato che Giorgi avrebbe offerto la disponibilità dei locali come punti di appoggio per le persone coinvolte nei traffici di stupefacenti, e per ricevere i rampolli delle famiglie di ‘ndrangheta che venivano inviati da San Luca per trovare un impiego.